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Formazione ai tempi del Covid-19: Fabbrica delle Professioni vi aspetta in aula in sicurezza

È ormai un anno che abbiamo dovuto rinunciare alle aule reali per adottare formule di didattica online. Una soluzione che credevamo di emergenza ma che, purtroppo, è diventata norma.

Su alcune tematiche funziona benissimo ed è anche un’ottimizzazione dei tempi e della logistica, quando si parla di aspetti tecnici o di apprendere normative la didattica online è perfetta. In alcuni casi basterebbe anche una dispensa fatta bene!

La formazione vera però non è il semplice apprendimento di nozioni, ma è la possibilità di agire sui comportamenti futuri e modificare qualcosa del nostro agire per essere più adeguati al ruolo esercitato e distinguersi rispetto agli altri.

A mio avviso questo obiettivo online non è possibile raggiungerlo perché entrano in scena delle componenti legate alle emozioni che solo in un’interazione reale possono essere attivate.

Formazione in aula anti-Covid

formazione-in-aula-anti-covid

Per questa ragione la prima cosa che ho “progettato” nel mio nuovo incarico in Fabbrica delle Professioni è la formazione in aula anti-Covid.

Ritorniamo in aula ma in sicurezza!

Per tutelare docenti e partecipanti Fabbrica delle Professioni adotta questo protocollo:

  • formatori e partecipanti dovranno arrivare in aula con il referto del test antigenico effettuato il giorno prima e interamente rimborsato da Fabbrica delle Professioni;
  • tutti dovranno indossare la mascherina FDP2 messa a disposizione da Fabbrica insieme a guanti e gel;
  • tutti avranno in dotazione una penna che è anche uno spray igienizzante;
  • le aule garantiranno il distanziamento.

Torniamo a guardarci negli occhi e a sentire le nostre emozioni!

Marina Magni

consulenti finanziari

Quale futuro per i giovani consulenti finanziari ?

Il Consulente Finanziario sta vivendo un meritato momento di notorietà e lo si evince dagli incrementi nella raccolta del risparmio gestito. In questo scenario nel quale l’età media degli iscritti all’Albo ha superato abbondantemente i 50 anni.

Ed i giovani? Stentano ad affermarsi ed i loro portafogli non sono in linea con le medie della categoria. E le Aziende? Alcune cominciano a revocare il mandato ai Consulenti Finanziari che detengono piccoli portafogli. La stragrande maggioranza di questi sono giovani!

Perché, invece, non investire sulle nuove leve?

Perché non creare percorsi di formazione che prevedano, oltre all’apprendimento di nozione tecniche, la formazione di nuovi “Imprenditori” della Consulenza Finanziaria?

La scarsa raccolta da parte dei giovani Consulenti non dipende certo dalla non dimestichezza con la tecnologia, oggi indispensabile, e neanche dalla non competenza di nozioni tecniche. Di conseguenza le aree nelle quali dovrebbero essere supportati sono da ricercare nel campo dei comportamenti e della relazione.

Fabbrica Delle Professioni nasce proprio con l’obiettivo di erogare formazione basata sul “fare concretamente”.

Consulenti finanziari e dimensioni del portafoglio: è solo selezione naturale

AvatarDI NICOLA RONCHETTI2 SETTEMBRE 2020 | 10:16

Le reti dei consulenti finanziari stanno vivendo un momento magico grazie ai tre principali punti forza insiti nel loro modello di servizio.

  1. Proattività dei professionisti.
  2. Digitalizzazione.
  3. Consolidata capacità di operare fuori sede.

Il portafoglio medio dei consulenti finanziari è più che raddoppiato negli ultimi quindici anni (da 10 a 25 milioni), il patrimonio complessivo gestito dalle reti è cresciuto del 250%, il numero dei clienti è passato dal’8% al 15% dei risparmiatori italiani.

Tuttavia, il numero dei consulenti finanziari con mandato attivo conferito da una rete di consulenti finanziari è sostanzialmente stabile o addirittura in leggera contrazione. Tutto ciò significa due cose: la professione del consulente finanziario non si improvvisa, richiede tempo e preparazione; i professionisti con portafogli sotto la media faticano, più che in passato, a sopravvivere.

Alcune reti mettono a disposizione dei propri consulenti finanziari un’offerta che spazia dai mutui, ai prodotti assicurativi, al credito al consumo fino ai servizi di consulenza immobiliare e patrimoniale, che certamente rappresentano un’ulteriore fonte provigionale.

Tuttavia la professione del consulenti finanziari è ancora oggi prevalentemente associata alla gestione del risparmio e degli investimenti.

Consulenti finanziari e selezione naturale

Le mandanti hanno iniziato, chi prima chi dopo, una vera e propria selezione dei consulenti finanziari, revocando il mandato ai professionisti con portafogli sotto la media e poco dinamici.

Questo processo è ormai assodato nelle reti più grandi e affermate sul mercato, mentre le reti di più recente costituzione, che devono ancora crescere, paiono più clementi.

Tutto ciò si traduce in una selezione mediamente mirata ai consulenti finanziari con portafogli superiori alla media e in misura marginale verso i professionisti con portafogli minori a meno che non siano associati ai (pochissimi) giovani di belle speranze.

I clienti migliori

Anche in tema delle riassegnazioni, ovverosia riallocazione dei portafogli dei consulenti finanziari che lasciano la professione, ad aggiudicarsi i migliori clienti sono molto spesso i professionisti più capaci e intraprendenti.

Inoltre la qualità del portafoglio clienti è spesso correlata alla sua dimensione, ovverossia a piccoli portafogli sono associati tanti clienti di piccole o medie dimensioni (mass market o lower affluent). Il profilo dei clienti spiega in buona parte la concentrazione dei portafogli.

È indubbio che i consulenti finanziari più preparati e proattivi attraggano clienti private e, in qualche caso, Hnwi. Questi clienti, certamente più esigenti, consentono evidenti economie di scala, mediamente la gestione di un cliente private equivale alla gestione di cinque clienti affluent. Oggi i clienti di fascia alta costituiscono il 30% dei portafogli dei consulenti finanziari.

Combinato disposto

Il combinato disposto della maggior preparazione richiesta, di clienti più esigenti e più patrimonializzati uniti a margini ridotti produce una selezione naturale che espelle i consulenti dotati di minor intraprendenza e portafogli più contenuti.

Diventa quindi sempre più rilevante per il consulente finanziario selezionare una mandante che sia in grado di offrire una piattaforma digitale all’avanguardia e un’offerta di servizi, prodotti e partner terzi più ampia e dinamica possibile.

Risparmio di tempo

Ciò consente ai consulenti finanziari di gestire i clienti meno esigenti e patrimonializzati con minor impiego di tempo, dedicando viceversa maggior attenzione allo sviluppo dei clienti a più elevato potenziale.

Il 34% dei consulenti finanziari ipotizza che nei prossimi 5 anni non lavorerà più per l’attuale mandante (fonte: Finer® CF Explorer, n.d.r.), circa un terzo di costoro immagina di lasciare la professione, il vero quesito è: quanti di questi lo fanno volontariamente?

iso 9001

La nostra qualità è certificata ISO 9001:2015

Una formazione di qualità ha come obiettivo quello di modificare i comportamenti delle persone affinché le nuove competenze generino una crescita non solo professionale ma anche personale.

Per questo non è sufficiente avere bravi docenti e ottimi strumenti di comunicazione, ma è anche necessaria un’etica e dei valori in linea con la responsabilità di far crescere le persone.

Fabbrica delle Professioni ha il certificato di qualità ISO 9001:2015

Siamo orgogliosi del fatto che l’Ente Certificatore abbia apprezzato l’approccio di Fabbrica delle Professioni, la qualità dei docenti, delle metodologie di aula, le modalità di seguimento dei committenti e la progettazione dei corsi.

In particolare è stata apprezzata la modalità di erogazione dei corsi che prevede spesso la presenza contemporanea di più docenti in aula.

 

intermediari-finanziari

Perché gli Italiani non si fidano degli intermediari finanziari?

La non fiducia deriva quasi sempre dalla non conoscenza. Dei mercati, ad esempio, e questa carenza spiega le masse che si riversano sui conti bancari ad interessi prossimi allo zero.

L’altra scarsa conoscenza riguarda gli intermediari finanziari, Consulenti Finanziari ed Assicuratori in prima battuta, che sono vissuti più come venditori di prodotti che come consulenti. Dalla scarsa conoscenza alla sfiducia il passo è breve.

Quali possibili rimedi per incidere efficacemente su questa “credenza”?

Le Banche, le Compagnie di Assicurazione, le Reti di Consulenti Finanziari debbono disporre, per i propri Operatori, progetti di formazione “divulgativa” sul valore dei loro ruoli. Divulgativa perché deve esprimere con semplicità concetti complessi.

Nelle nostre esperienze abbiamo potuto verificare come gli operatori che hanno maturato una buona capacità di comunicazione divulgativa siano riusciti a creare con la propria clientela un rapporto fiduciario molto più intenso.

We Wealth, 28 Luglio 2020

intermediari-finanziari

“Il 63% degli italiani non si fida degli intermediari finanziari e l’80% sceglie il “fai da te”, ma la scarsa conoscenza degli strumenti disponibili frena la ripresa economica post-covid. Cosa possono fare le istituzioni e i player del settore?

Accumulano risparmi, sovrastimano la propria cultura finanziaria e perdono opportunità e ricchezza potenziale. Gli italiani, con i loro timori e le loro incertezze, frenano la ripresa economica del Paese, privando l’economia reale dell’ossigeno necessario a sopravvivere.

Secondo uno studio di Aviva Assicurazioni e The european house – Ambrosetti, che hanno presentato un’anteprima della nuova edizione del Global attractiveness index 2020, sono 18,5 milioni le famiglie italiane che non utilizzano strumenti finanziari.

Miliardi di euro di risparmio privato continuano infatti ad accumularsi e lo shock pandemico non ha fatto altro che contribuire a questo trend.

Se gli investimenti finanziari privati potrebbero giocare un ruolo di primo piano nel sostenere la liquidità destinata all’economia privata durante i periodi di incertezza economica, in Italia la scarsa conoscenza degli strumenti a disposizione dei cittadini rendono la ripresa ancora più lenta.

I dati della Banca centrale europea hanno rilevato che solo nel mese di marzo, uno dei periodi più caldi della pandemia, gli italiani hanno accumulato 16,8 miliardi di risparmi, contro una media mensile di 3,4 miliardi. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno si parla di una crescita del 254%. Ma quali sono le motivazioni?

La situazione italiana

Secondo lo studio, l’Italia è ultima tra i paesi del G20 in termini di educazione finanziaria, con un punteggio medio di 3,5 su 9. Un aspetto che genererebbe un incremento eccessivo di liquidità, con una conseguente battuta d’arresto per i mercati finanziari e la perdita del 30% di ricchezza potenziale in termini reali solo negli ultimi 15 anni per chi ha preferito non investire.

Quella che manca, spiegano i ricercatori, è una reale fiducia nei confronti degli intermediari finanziari, inesistente per il 63% degli italiani. Proprio per questa ragione, 8 su 10 decidono di optare per il “fai da te” e il 28% sovrastima la propria cultura finanziaria.

Tra pareri di amici, colleghi e parenti, gli investitori del Belpaese perderebbero in questo modo le opportunità offerte dal mercato.

Basti pensare al fatto che l’87% della popolazione dichiara che non investirebbe in prodotti socialmente responsabili sebbene i dati rivelino come godano di profili di rischio-rendimento migliori rispetto ai prodotti tradizionali.

Se si considera il comparto assicurativo, in particolare, gli ultimi dati raccolti da Ania evidenziano che unicamente il 46% delle abitazioni ha un’assicurazione contro l’incendio e quasi una su cinque è stata sottoscritta perché legata automaticamente al mutuo.

Inoltre, quelle protette da calamità naturali sono poco più del 3%, contro il 75% degli immobili residenziali esposti a tale tipologia di rischi. “Una maggiore alfabetizzazione finanziaria e la crescita dell’utilizzo degli strumenti a disposizione dei cittadini sono elementi fondamentali per accrescere l’attrattività di un sistema paese”, spiega Ignacio Izquierdo Saugar, ceo di Aviva in Italia.

Ma per migliorare questi aspetti, aggiunge, è necessario uno sforzo congiunto da parte delle istituzioni e di tutti i player che operano nei settori finanziario e assicurativo.

L’industria, conclude, “ha precise responsabilità per supportare il rilancio del Paese e deve agire concretamente per sbloccare la ricchezza che potrebbe finanziare direttamente la ripartenza economica”.

immobiliare

Immobiliare: “Lo scenario hard di 2 mesi fa ora è quello soft”

WE WEALTH:

Peggiorano le condizioni del mercato immobiliare italiano. I dati illustrati da Nomisma evidenziano un 1° trimestre molto negativo, con una flessione tra il 10 e il 20% del numero di compravendite, per poi proseguire con un crollo dell’ordine del 50% nei mesi di aprile-maggio.

A differenza di quello che avevamo ipotizzato qualche mese fa, oggi lo scenario del mercato immobiliare è decisamente più fosco: quello che solo due mesi fa era visto come lo scenario hard, oggi è diventato lo scenario soft, con un ulteriore peggioramento sia dello scenario base che del nuovo scenario hard”. Lo ha detto Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma, durante l’evento organizzato da Nomisma e Crif in collaborazione con Unicredit Subito Casa dal titolo “Fuori tutti, la voce alle famiglie. Vivere, abitare, investire: l’oltre del coronavirus.

Il Covid ha infatti cambiato il mondo e ha determinato un impatto molto rilevante che ora si può solo stimare e di cui si possono vedere ora solo i primi effetti.

Il primo trimestre ha fatto segnare un brusco arretramento del Pil, sia a livello nazionale che europeo, e un crollo immediato del clima di fiducia. “Purtroppo è solo l’inizio di una dinamica che tenderà ad aggravarsi nei mesi successivi. C’è una prospettiva di inflazione che diventerà di deflazione, nonostante l’immissione di una quantità rilevante di moneta”, ha spiegato Dondi.

Se poi ci si focalizza sull’immobiliare, l’andamento del settore e le previsioni sono ancora più preoccupanti. “In termini di compravendite residenziali, si passerà da quota 604mila a 463 o 494 a seconda che si voglia essere più o meno ottimista – ha dichiarato Dondi .

La differenza sarà sull’anno prossimo: se, infatti, la componente di investimento dovesse ritornare verso il mercato con un atteggiamento diverso si potrebbe determinare una stabilizzazione sui livelli di quest’anno; se invece questo ritorno non dovesse esserci, il 2021 potrebbe dar vita a un’ulteriore flessione.

I dati che abbiamo – ha poi aggiunto – ci parlano di un 1° trimestre molto negativo, con una flessione compresa tra il 10 e il 20%. E non è tutto. I dati di aprile-maggio, ci raccontano di una flessione del numero di compravendite dell’ordine del 50%”. Una cosa è certa: molta parte della flessione si realizzerà già nel primo semestre, senza possibilità che nel secondo ci siano spazi di recupero.

Qual è il clima di fiducia delle famiglie italiane?

immobiliare

Emerge un livello strutturalmente basso, ma che non peggiora; come se ci fosse solo una percezione parziale delle conseguenze di quello che abbiamo vissuto, e che vivremo, nelle opinioni delle famiglie riguardo al futuro e alla propria condizione personale.

Dall’indagine Nomisma 2020 sulle famiglie italiane è emerso infatti che, in un contesto così incerto e complesso come quello attuale, la propensione all’acquisto di un’abitazione si mantiene apparentemente su livelli simili rispetto a quelli dello scorso anno, con circa 2,5 milioni di famiglie interessate all’acquisto.

Questi dati raccolti vanno però interpretati alla luce di una “realtà aumentata” che incrocia la percezione del futuro con le condizioni reddituali delle famiglie. Alla luce di questo, infatti, le famiglie intenzionate all’acquisto di un immobile si riducono così a 625.900: un quarto di quelle che lo desideravano.

Secondo la ricerca cresce poi la domanda potenziale delle famiglie che si stanno già muovendo per cercare casa (dall’1,9 al 2,1%), ma si tratta di un incremento dovuto probabilmente al fatto che queste famiglie avevano deciso di comprare casa già prima della pandemia, ma in questi mesi non erano riuscite a farlo a causa del lockdown. Le motivazioni? Il 74% degli interpellati vorrebbe acquistare per avere una prima casa o per sostituire quella che ha già.

E il mercato degli affitti?

La situazione non è molto diversa se si passa ad analizzare il mercato degli affitti. Secondo i dati raccolti da Nomisma le famiglie interessate all’affitto sarebbero 2.008.300, ma anche in questo caso, circoscrivendo l’analisi ai soli nuclei che manifestano un’effettiva capacità reddituale, la domanda effettiva tenderà a ridursi a 730.300 famiglie.

Considerando le motivazioni che sorreggono il mercato dell’affitto emerge come il 54,4% delle famiglie – erano il 58% lo scorso anno – consideri la locazione un’opzione alternativa a causa della mancanza di risorse economiche sufficienti per poter accedere al mercato della compravendita.

Complessivamente è emerso un peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie. La quota di quelle che negli ultimi 12 mesi ha accumulato ritardi nel pagamento dell’affitto è passata infatti dal 9,6% del pre-covid-19 al 24% durante le misure di contenimento.

Per effetto del lockdown, quindi, una famiglia su quattro ha mostrato difficoltà nel pagamento dell’affitto. Un’evidenza che trova conferma anche nelle aspettative per i prossimi 12 mesi: più del 40% delle famiglie prevede di avere difficoltà a rispettare il pagamento del canone di affitto.”

Stefania Pescarmona

Le previsioni sul mercato immobiliare

Le previsioni riguardanti il mercato immobiliare per il secondo semestre 2020 ed il primo 2021 non sono incoraggianti. E gli Agenti Immobiliari come possono affrontare e fronteggiare la situazione? Ragionare con i clienti del mercato in generale? Fare previsioni sullo stesso con il rischio di essere smentiti in un senso o in un altro? Minimizzare? O????

I clienti, prevalentemente, sono famiglie e, quindi, persone!

Dedicare attenzione alle persone può essere la chiave per conquistarle. Creare una “relazione” la modalità per farlo! Parlare dei loro progetti individuali e familiari, spostare l’attenzione sull’essere umano più che sull’immobile.

Capire quale sia l’immobile dei loro sogni e perché. Parlare al “cuore” della clientela oltre che supportarla dal punto di vista tecnico. Non sarà più sufficiente agli Agenti Immobiliari fornire planimetrie e visure catastali ancorché importante. La via maestra contro la crisi sarà quella di far realizzare ai clienti il loro sogno!

Fabbrica Delle Professioni può costruire percorsi formativi personalizzati sulle singole esigenze.

agenti immobiliari

Agenti immobiliari, più strumenti digitali per arginare la crisi

Il Corona Virus “contagia” anche gli Agenti Immobiliari. Nonostante tutto la categoria reagisce. Visite virtuali, collegamenti on line con i clienti. Un nuovo modo di porsi.

L’emergenza sanitaria ha imposto nuovi modi di lavorare anche per gli agenti immobiliari che sono stati costretti a modificare il proprio modus operandi.

Lo strumento delle visite virtuali è subentrato in maniera positiva sia da parte dei clienti che degli agenti stessi; infatti si presuppone che possa rimanere come strumento di lavoro anche dopo la pandemia.

agenti immobiliari

La possibilità di poter collegarsi direttamente online con i propri clienti è un’altra opportunità che si è creata con l’emergenza sanitaria. I contatti tra clienti ed agenti immobiliari sono, in questo modo, più veloci. Grazie al collegamento online, infatti, i clienti si sentono più vicini agli agenti immobiliari i quali possono organizzare in maniera agevole le visite e le informazioni da condividere.

Ma che differenza esiste tra il dialogare di persona ed il parlare mediante una piattaforma on line? Molta!

Nei dialoghi virtuali entrano in gioco elementi ai quali siamo scarsamente abituati a prestare attenzione. Il tono della voce, la luce, lo sfondo, la chiarezza delle immagini ecc… Tutti elementi che, se non accuratamente studiati e gestiti, possono rendere inefficace la comunicazione.

Fabbrica Delle Professioni propone specifiche attività formative su questi temi anche per gli agenti immobiliari.

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Consulente Finanziario, alza le antenne!

We WELTH: “La sfida dei consulenti-robot”

Si stima che le masse gestite a livello globale da questi servizi raggiungerà quota 1.400 miliardi di dollari nel 2020 per salire a 2.400 miliardi nel 2023. In Italia il mercato vale solo un miliardo di euro. Prevale il modello ibrido, che prevede la possibilità di contatto con un consulente in carne ed ossa. E il servizio inizia ad attrarre anche alcuni clienti private

Il mercato delle piattaforme di advisory finanziaria basate su portafogli modello ha superato i 1.400 miliardi di dollari su scala globale, evidenziando una crescita esponenziale. In Italia le masse valgono un miliardo. E intanto i clienti private iniziano a testare il servizio

Siri dove investo i miei soldi?

E se tra qualche anno fosse proprio il nostro smartphone a dirci come gestire i nostri risparmi?

Attualmente il mercato dei roboadvisor – piattaforme online di consulenza finanziaria basate su portafogli modello – sta continuando a crescere in modo esponenziale e non sembra destinato a fermarsi, nonostante in alcuni Paesi, ad esempio l’Italia, rappresenti ancora un segmento molto marginale del mercato del risparmio gestito.

A parlare sono i numeri. Nel 2020 gli asset gestiti da robo advisory raggiungeranno 1.400 miliardi di dollari. Una crescita esponenziale che arriverà, secondo le stime ai 2,4 trilioni di dollari nel 2023. A dirlo sono i dati raccolti da LearnBonds, sito americano di informazione ed educazione economico finanziaria, che ha sottolineato come il rallentamento globale che ha colpito tutte le economie non abbia minimamente influenzato il settore.

Stando ai dati raccolti nel 2017 gli asset gestiti dai robo advisor su scala globale erano pari a 0,2 miliardi di dollari. Sono saliti a 0,5 miliardi nel 2018 e a un miliardo nel 2019. Una crescita che non sembra rallentare il proprio passo.

Nel 2017 erano 13,1 milioni gli utenti che usavano per i propri investimenti una piattaforma di robo advisory. Nel 2019 sono saliti a 70,5 milioni, in crescita del 54% su base annua. E le statistiche indicano che il numero di investitori che utilizzano la pianificazione finanziaria “non umana” raggiungerà i 147 milioni di persone entro il 2023, undici volte in più rispetto ai dati del 2017.

I dati statistici dei robo advisory

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Negli ultimi 10 anni i robo advisory sono cresciuti rapidamente negli Usa, ma anche in Europa e Cina. Gli Stati Uniti in particolare detengono il 75% del mercato globale della consulenza automatizzata. Si prevede che l’intero settore dei robo advisory raggiungerà i mille miliardi di dollari nel 2020, grazie anche alla presenza dei robo advisory ibridi (sistemi di consulenza finanziaria “robotizzata” che però prevedono anche l’assistenza di un consulente umano).

Al secondo posto si trova la Cina con 350 miliardi di dollari stimati entro il 2020
(ben 700 miliardi in meno rispetto agli Usa). Al terzo posto il Regno Unito che, secondo le stime, raggiungerà un valore di mercato di circa 24 miliardi di dollari, mentre la Germania si colloca al quarto posto con 13 miliardi di dollari nel segmento dei consulenti robo advisor entro il 2020.

Chiude la top five il Canada, che dovrebbe raggiungere nel 2020 8 miliardi di dollari in gestione.

A livello mondiale gli attori più importanti sono Betterment, Wealthfront, Personal Capital, Nutmeg, FutureAdvisory e the Vanguard group, colosso americano delle gestioni passive sbarcate nel 2019 in Italia.

La situazione dei robo advisory in Italia

E nel nostro paese? Al momento le masse gestite raggiungono quasi il miliardo, secondo stime di mercato. Il maggiore operatore è MoneyFarm che ha chiuso il 2019 con 976 milioni di euro (tra Italia, Uk e Germania), masse più che raddoppiate rispetto al 2018 (484 milioni).

Tra gli altri operatori si segnalano Euclidea, che ha superato 300 milioni di masse, Yellow advice (CheBanca!), Ibnavigator di Invest Banca e le piattaforme di due “supermercati di fondi” come Online sim e Fundstore.

Il valore medio dei portafogli gestiti dai robo-advisor nostrani è relativamente basso, ma diversi operatori segnalano l’approdo sulle piattaforme di consulenza ibrida di clientela private, che inizia a testare il servizio.

La maggior parte dei servizi utilizzano un modello ibrido, che prevede la possibilità di avere un contatto con un consulente in carne e ossa.Da dove è partito tutto? Nel mondo anglosassone il mercato dei robo-advisory ha cominciato a guadagnare quota nel periodo della crisi finanziaria del 2008.

Le startup statunitensi Bettermet e Wealthfront sono state le prime a cercare di rispondere a una richiesta di consulenza finanziaria low cost, attraverso l’uso algoritmi, con poca o nessuna supervisione umana.

Le commissioni applicate erano molto contenute, intorno allo 0,25% annuo sulle masse investite, con soglie di accesso a partire da 10 dollari.

La situazione mondiale

Nel mondo 1,4 miliardi di investitori si avvalgono di una piattaforma di advisory finanziaria e la tendenza è in continuo aumento. In Italia, attualmente, le masse hanno raggiunto quasi il miliardo con un raddoppio rispetto al 2018.

Solo una forte e consolidata relazione con i propri clienti può consentire al Consulente Finanziario di continuare ad essere un punto imprescindibile di riferimento, ma, per raggiungere questo obiettivo, il Consulente dovrà, in molti casi, rivedere il suo approccio con i clienti.

Parlare certamente di mercati e di prodotti, ma curare, allo stesso tempo, in maniera approfondita, la conoscenza del cliente stesso sotto tutti i punti di vista. Instaurare con lui un rapporto che vada al di là di quello professionale e che gli consenta di conoscere anche tutti quegli aspetti fino ad oggi non esplorati.

Un rapporto che possa indurlo a divenire il “Coach” del cliente. Non solo obiettivi finanziari, ma anche la famiglia, le sue preoccupazioni, i suoi desideri, i suoi hobbies, il suo sport preferito eccc… In poche parole “interessarsi sinceramente a lui”!

Un modo nuovo di rapportarsi

Fabbrica Delle Professioni può strutturare percorsi formativi per portare il Consulente a raggiungere l’obiettivo di essere l’esclusivo punto di riferimento nella gestione del risparmio e del patrimonio dei suoi clienti.

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Il Consulente, un ruolo da valorizzare

Dall’analisi dell’Osservatorio mensile di Gennaio curato dall’ANASF emergono dati che dimostrano le opportunità ancora inesplorate da parte dei Consulenti Finanziari.

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I dati statistici

Tra i prodotti collocati si nota un 13% nell’assicurativo/previdenziale con un 20% di “puro rischio”, un 3% di infortuni e malattia risalta uno 0% di LTC. Scarsa conoscenza o l’assicurativo non viene considerato un campo da CF?

Altro dato significativo: solo il 19% dei CF gestisce il 100% del patrimonio dei propri clienti. Scorrendo ancora il rapporto si nota che solo il 24% consiglierebbe ad un giovane di intraprendere la professione di CF nonostante la categoria abbia, mediamente, un’età prossima ai 60 anni.

Come interviene FDP per il consulente

Fabbrica Delle Professioni può strutturare percorsi formativi personalizzati su temi assicurativi/previdenziali, finanziari e motivazionali il CF può assumere la piena consapevolezza dell’importante ruolo sociale che ricopre.

Conciliare creatività e tecniche nella formazione: mission impossible?

 E’ fondamentale saper unire lo sviluppo creativo e un ambiente di lavoro sostenibile dal punto di vista emotivo e relazionale

di Chiara Paolino *

(REUTERS)
(REUTERS)

4′ di lettura

È ormai da un almeno un decennio che le riviste più importanti nel settore della formazione incoraggiano i manager e la funzione HR allo sviluppo di competenze nell’ambito della creatività e dell’innovazione. A questo proposito, diversi studi hanno suggerito l’importanza di adottare parallelamente metodologie di insegnamento e apprendimento che possano favorire non solo la partecipazione del discente, ma anche una intenzione nell’organizzare il suo coinvolgimento valoriale ed emotivo all’esperienza formativa.

In questa prospettiva si è illustrata l’importanza, nella business education, di utilizzare approcci pedagogici provenienti da diverse discipline (non solo quella manageriale, ma anche quelle umanistiche) e di riconsiderare modalità, come quelle che implicano il coinvolgimento dell’arte e dei suoi codici, per creare esperienze di formazione in grado di costruire un senso di accoglienza del lavoratore, come persona, e di permettere l’espressione della sua unicità e pensiero non convenzionale.

La tendenza nell’ambito della formazione non va però solo in questa direzione di apertura. Un recente articolo apparso su Harvard Business Review (Ottobre, 2019) ha messo in luce, citando una ricerca di McKinsey, che il 75% di 1.500 manager intervistati da 50 organizzazioni non sono soddisfatti delle attività proposte dalla loro funzione di Learning&Development, il 70% dei dipendenti riporta di non aver avuto occasione di maturare le competenze necessarie allo svolgimento del proprio lavoro; solo il 12% dei dipendenti ha occasione di applicare sul lavoro le abilità apprese durante la formazione.

La conclusione dell’articolo va nella direzione opposta a quella prima citata e professa la necessità, per migliorare questi indicatori e non sprecare il budget della formazione, di tornare a concentrarsi su unità di training più piccole (intendendo su attività di formazione legate a competenze più elementari in termini di quantità e complessità di contenuto) e più direttamente legate allo svolgimento del proprio lavoro, e quindi immediatamente più applicabili.

D’altro canto, un’indagine condotta da GP Strategies nel 2019 su circa 300 lavoratori ha rilevato che fra le tre skill che le persone ritengono di dover sviluppare in futuro ci sono la capacità di negoziare (46%), di gestire conversazioni difficili sul posto di lavoro (24%) e di design thinking (24%), skill che vanno tutte oltre la mera esecuzione del proprio lavoro, e che si focalizzano sulla capacità di gestire le relazioni e di praticare empatia e innovazione.

A questo si aggiunga che, nonostante la digitalizzazione dei servizi formativi, la modalità di apprendimento ancora preferita è l’esperienza dell’aula, del gruppo di apprendimento guidato dal docente. Come dobbiamo, dunque, guardare a queste due tendenze? Apertura, focalizzazione sulla persona, sul suo mindset, anche emotivo e sensoriale, per la coltivazione di skill elevate come la creatività e l’innovazione da un lato, e ritorno a una formazione più strettamente legata al job, fatta di miglioramenti incrementali e piccole sperimentazioni dall’altro?

Fortunatamente può non trattarsi di un conflitto nell’organizzazione della formazione, e non perché nei due casi, come si potrebbe pensare, stiamo pensando a modalità formative dedicate a popolazioni organizzative diverse (quella più aperta e coinvolgente per i manager e quella più tecnica per la popolazione operativa). È ormai assodato che la formazione tecnica e on the job sia parte essenziale del percorso di crescita di tutti e che costituisca un presupposto fondamentale per il benessere e le opportunità di crescita della persona, qualsiasi sia il livello che ricopre. Si pensi a quanto del gender gap può essere spiegato alla luce della mancata formazione tecnica della popolazione femminile sulle competenze legate alla comprensione del business, piuttosto che alla mancanza di assertività.

Il conflitto tra queste due modalità formative all’interno della stessa organizzazione non dovrebbe esistere se si tenesse a mente che è la pratica della tecnica che consente poi una così piena comprensione del ruolo e del task, da renderci in grado di proporre nuove soluzioni, di essere creativi e presenti appieno sul posto di lavoro con tutta la nostra persona. Allo stesso modo la formazione esperienziale tesa alla promozione di una visione piuttosto che di un’abilità specifica nelle persone, improntata all’accoglienza del lavoratore come persona che vive l’esperienza di lavoro anche con le sue emozioni, è un mezzo fondamentale per promuovere idee innovative, nuove modalità di lavoro operativo e per poi trovare le energie per applicarle operativamente sui propri compiti lavorativi.

La convergenza tra i due approcci e quindi l’efficace sviluppo della capacità di pensare a modi nuovi di svolgere il proprio lavoro può risiedere nel renderli entrambi sistematici, parte integrante della strategia di formazione. Passare dall’evento formativo (sia esso tecnico o più valoriale e di apertura) a una integrazione di questi programmi nella strategia HR e a una loro comunicazione articolata. A questo proposito, se un ritorno alla formazione più tecnica, all’apprendimento on the job sembra illustrare in modo intuitivo i suoi benefici, è questo anche il momento di riflettere su tutti i casi che ci informano di come metodi formativi più direttamente legati alla creatività, come quelli basati sul coinvolgimento dell’arte e degli artisti nella formazione, possano nel tempo portare a migliorare la capacità di riflessione dei lavoratori sul proprio task, a proporre idee per innovarlo e, al contempo, a costruire un senso più articolato e complesso della propria esperienza di lavoro, in relazione ai propri colleghi, al contenuto della propria mansione e all’organizzazione.

Tecnica e apertura possono convivere nella strategia di formazione. Lo sviluppo della creatività e la creazione di un ambiente di lavoro sostenibile dal punto di vista emotivo e relazionale possono essere il loro comun denominatore.

Anche il Manager, a qualunque settore esso appartenga, sarà costretto a sviluppare nuove competenze nell’ambito della creatività e dell’innovazione. Dovrà passare da HR Manager a Learning and Development Manager. Sviluppare, quindi, la capacità di individuare nuove modalità per svolgere in pieno il proprio compito.
Fabbrica Delle Professioni può “costruire su misura” percorsi formativi che tengano conto di questo inevitabile processo di cambiamento.

Da Consulenti a Mentor

 

Affinchè il Consulente possa fare il passo che lo porti “da Consulente a Mentor” deve sviluppare grandissime capacità relazionali. Nel caso della tutela dei patrimoni e dei passaggi generazionali il Consulente deve essere colui che interfaccia la propria clientela con i Professionisti esperti del settore. Il suo compito non è proporre soluzioni, che comunque deve conoscere, ma selezionare Partners  per ogni singola esigenza ed instaurare con la propria clientela un rapporto fiduciario che lo ponga sullo stesso piano dei Professionisti che propone.E’ indispensabile che il Consulente abbia la capacità di fare Networking.

Fabbrica Delle Professioni può strutturare percorsi formativi in collaborazione con Professionisti e che consentano al Consulente di essere il Regista dell’operazione e non di trovarsi in posizione di subordine nei confronti del propri clienti.
empatia medici

Anche i medici dovrebbero essere più empatici: “la parola può curare”

C’è in giro per il mondo un richiamo importante alla gentilezza ed empatia. Questo discorso vale soprattutto per quelle professioni che sono quotidianamente in contatto con la sofferenza. Una tra tutte è la professione medica.

E’ importante che anche i medici (privati o pubblici) coltivino la sacra arte della gentilezza decantando empatia ed attenzione al prossimo. E’ indispensabile che si adattino ed apprendano nuovi stili comunicativi adeguati all’incontro con il malato. Toni, gesti, comunicazione verbale sono una risorsa primaria che non dovrebbe mancare in una relazione medico-terapeutica.

Le parole, se non empatiche ed attente, possono essere pesanti come pietre soprattutto quando si tratta di malattie gravi. Con le giuste parole andiamo a toccare le giuste aree cerebrali e quindi questo ha un impatto importante sui pazienti.

Un buon medico dovrebbe elaborare le proprie rabbie, le proprie frustrazioni e difficoltà. Un buon medico dovrebbe, nella relazione di cura, sapere come esprimersi, cosa pronunciare e non pronunciare. Una regolare e preparata condotta relazionale prevede che il paziente che vive la malattia trovi le giuste risorse per affrontarla.

Un’equipe di scienziati ha osservato questo effetto dal vivo quando al malato viene comunicato qualcosa da parte di un medico.

Abbiamo informazioni su tutto quello che può accadere nel cervello

Lo studio sperimentale è quello della Fondazione Giancarlo Quarta Onlus dell’Università di Udine con la Clinica Psichiatrica Asuius Santa Maria della Misericordia. Presentata recentemente a Milano, sono stati esplorati diversi stili comunicativi con relativa attivazioni cerebrali nei pazienti.

E’ stato infatti dimostrato che l’insieme delle gestualità e delle parole scelte dal medico produce effetti specifici nel malato.

Infatti una delle prime cose che il paziente vuole è capire, capire cose gli accade quando si trova catapultato nel macro-mondo sconosciuto della malattia. Vi è aggiunto anche il bisogno di sicurezza sul futuro ed il bisogno di essere capiti emotivamente. Questi pazienti hanno bisogno di essere ascoltati e valorizzati nella difficoltà del percorso che staranno per intraprendere.

Se la parola può curare anche i medici devono porre attenzione alla loro comunicazione. Fabbrica Delle Professioni può costruire percorsi che aiutino la categoria a porsi, in ogni occasione, in maniera corretta con i loro pazienti.

Articolo a cura di Stefania Signorile

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Come generare fiducia nella consulenza finanziaria?

We Welth, 8 gennaio 2020, Giovanni Sebastiano Cozza:

Per essere considerato e ricercato dal cliente, il consulente ideale deve lavorare su due aspetti: quello tecnico e quello relazionale. Ecco come deve comportarsi il professionista per instaurare un rapporto duraturo con la clientela

Da una ricerca del 2017* risulta che il risparmiatore spesso preferisce tenere i propri capitali disinvestiti. Le motivazioni che lo tengono lontano dal mercato finanziario sono: scarse conoscenze in ambito finanziario, pregresse e negative esperienze di investimento, oppure mancanza di fiducia verso il sistema e le istituzioni.

Eppure le persone da sole difficilmente riescono a gestire in modo efficiente le proprie scelte di investimento. Le fonti da cui il risparmiatore riceve spunti per indirizzare le sue decisioni finanziarie sono varie. Coloro che hanno una bassa alfabetizzazione fanno affidamento su famiglia e amici.

Altri possono subire influenze da campagne pubblicitarie o dai media. Ma una tra le più importanti fonti da cui il risparmiatore può farsi guidare è proprio il consulente finanziario.

Vediamo quali sono gli aspetti caratteriali che prevalgono nelle persone che si affidano a un consulente per la gestione del patrimonio:

  • la responsabilità (si preferisce rischiare meno);
  • aspetti relazionali (si ricerca un rapporto fiduciario e più empatico)
  • L’estroversione e l’apertura al cambiamento sono tratti caratteriali poco presenti nei clienti.
  • Riguardo alla stabilità emotivai clienti sono spesso ansiosi nel 50% dei casi.

Quali caratteristiche dovrebbe avere il consulente ideale? Dalla ricerca emerge che i clienti ritengono ugualmente importante sia la possibilità di parlare con il proprio consulente del patrimonio, sia la possibilità di trattare temi diversi (attenzione alla relazione). Interessante è anche notare come i risparmiatori siano convinti dell’importanza di instaurare un rapporto duraturo con il consulente.

Appare chiaro da questa ricerca che, per essere considerato dal cliente, il consulente ideale deve lavorare su due assi: quello tecnico e quello relazionale. Se riuscirà a ben gestire la relazione sia per i contenuti tecnici sia per i rapporti umani instaurati avrà fatto centro. Infatti il cliente desiderando un rapporto duraturo, non vorrà più separarsi dal suo consulente.

Riguardo la responsabilità è opportuno fare domande aperte influenzate e non chiuse (quelle che iniziano con un verbo), finalizzate a sondare qual è il suo livello di rischio in relazione alla sua situazione personale familiare e lavorativa.

I benefici dell’approccio empatico nella consulenza finanziaria

consulenza-finanziaria

Più indagheremo in questa direzione e più saremo percepiti come consulenti competenti e che si prendono cura in modo responsabile del futuro del cliente. Ecco un esempio: “Come mette in relazione la sicurezza degli investimenti con il fattore tempo, se traguarda i prossimi anni lavorativi?”.

Tenuto conto del fatto che l’estroversione e l’apertura al cambiamento non fanno parte della caratteristica fondamentale dei clienti tipici, dovremmo utilizzare un approccio molto empatico. Per mostrare empatia è molto efficace: parlare con calma, non mettere fretta, non usare toni entusiastici, non presentare scenari che possano generare preoccupazione, cambiamenti o incertezze.

Riflettendo sulle informazioni che mi ha dato e sulla sua situazione personale (lavorativa e familiare) ho cercato di mettermi nei suoi panni e mi sono immaginato una tipologia di prodotti con queste caratteristiche A, B, C. Ne ho individuati un paio. Quale tra questi è quello che corrisponde meglio alle sue aspettative?”.

Visto che la stabilità emotiva è poco frequente tra i clienti (frequente ansia), dovremmo fare domande finalizzate a capire quali sono gli elementi che possono ridurre la sua preoccupazione e la sua ansia. Anche e soprattutto se non è stata esplicitata apertamente: “Quali tra le soluzioni che le ho esposto le genera meno preoccupazioni sul futuro?  Quali tra le soluzioni che le ho  esposto le trasmette maggiore tranquillità sui suoi investimenti?”.

Se il consulente avrà avuto la pazienza di toccare tutti questi aspetti, con tatto e con le giuste domande aperte (neutre o influenzate) avrà fatto il suo meglio per trasmettere e generare fiducia nella consulenza finanziaria e ovviamente in lui.”

Porre le domande giuste al momento giusto rappresenta un’arte della comunicazione. Per instaurare una efficace e solida relazione con i clienti è necessario apprendere questa arte.

Fabbrica Delle Professioni, vista la pluriennale esperienza di pratica sul campo dei suoi Formatori, può aiutare i Consulenti ad implementare questa specifica attività.

donazione

La donazione è uno strumento di pianificazione patrimoniale?

Programmare il passaggio generazionale di imprese o di patrimoni significativi richiede tempo, riflessione e analisi. Il nostro ordinamento offre molteplici strumenti giuridici. In questo contesto, la donazione non sembrerebbe essere lo strumento nel complesso più efficiente per questa attività.

La pianificazione del passaggio generazionale è una problematica alla quale di solito viene prestata poca attenzione e, quando ci si pensa, usualmente viene affrontata ricorrendo a due strumenti “tradizionali”, il testamento e la donazione.

La donazione, in particolare, viene vista come una mera anticipazione di ciò che naturalmente avverrà al momento della morte e si dona ai discendenti nell’assunto che la successione degli eventi sarà quella “fisiologica”, con la premorienza dei genitori rispetto ai figli.

Le ragioni principali per cui si pone in essere una donazione sono, di regola, beneficiare del favorevole regime impositivo attualmente in essere, nel timore che in futuro possa diventare più gravoso, e/o ricompensare e stimolare la partecipazione attiva dei propri discendenti alla vita societaria, nel caso di impresa di famiglia.

Le implicazioni negative della donazione

Quando si ricorre all’istituto della donazione, tuttavia, non si riflette adeguatamente sulle implicazioni negative che esso comporta e sulla, purtroppo, incertezza degli eventi della vita.

Tra gli aspetti negativi della donazione si evidenzia che:

  • essa comporta una spoliazione definitiva del donante, di norma non revocabile salvo i casi di sopravvenuta nascita di un figlio o di ingratitudine;
  • espone il patrimonio donato al rischio di aggressione non solo da parte dei creditori del donante (che possono esercitare l’azione revocatoria) ma anche da parte dei creditori del donatario, ad esempio per azioni di responsabilità civile o altro titolo;
  • è soggetta ad azione di riduzione da parte di eventuali legittimari lesi nella loro spettanza ereditaria, tra i quali rientra anche l’eventuale nuovo coniuge sposato dopo avere effettuato la donazione;
  • nel caso di donazione di immobili pone un grave vincolo ventennale alla loro circolazione.

I casi più gravi

Ancora più gravi possono essere le conseguenze per il caso in cui gli eventi della vita vadano difformemente da come ci si aspetta. Due casi, tratti dall’esperienza professionale, possono chiarire come talvolta la donazione ai figli possa tradursi in una scelta sciagurata.

Il primo caso è quello in cui un soggetto, con un divorzio difficile alle spalle e un unico figlio trentenne avuto da tale matrimonio cessato, aveva deciso di donare allo stesso una parte rilevante dei propri beni (taluni immobili di famiglia con un alto valore affettivo e le quote della società di famiglia).

Il figlio, non sposato e senza discendenza, purtroppo premuore in un incidente d’auto e ne consegue un quadro ben lontano da quella che era la volontà del genitore che inizialmente aveva effettuato la donazione.

Eredi legittimari del figlio, nella situazione delineata, sono infatti entrambi i suoi genitori, quindi anche l’ex coniuge del donante, con una quota – in assenza di testamento – del cinquanta per cento ciascuno. Non è difficile immaginare quali siano state le ripercussioni di tale premorienza, sia dal punto di vista emotivo che da quello gestionale, stante la comproprietà sui beni che si è venuta a creare tra gli ex coniugi.

Un secondo caso in cui l’istituto della donazione si è rivelato uno strumento fallimentare riguarda un imprenditore, titolare della totalità delle azioni della società di famiglia (di elevato valore, sia economico, sia, per il soggetto in questione, sentimentale), non più coniugato e con due figli che partecipavano attivamente alla vita imprenditoriale.

L’imprenditore aveva deciso di donare la nuda proprietà delle azioni in parti uguali a ciascun figlio, come riconoscenza del lavoro dagli stessi quotidianamente svolto e in ottica di passaggio generazionale.

In tale situazione gli effetti che si sarebbero avuti in ipotesi di apertura della successione del genitore sarebbero stati gli stessi posti in essere con tale donazione, poiché in caso di decesso di un soggetto non coniugato e con due figli la quota di legittima spettante a ciascuno di essi, in assenza di testamento, è pari al cinquanta per cento; infatti l’imprenditore aveva donato ritenendo solamente di anticipare un qualcosa che si sarebbe realizzato in ogni caso.

Uno dei due figli, coniugato e senza discendenza, tuttavia premuore senza lasciare testamento e i due terzi del suo patrimonio (quindi anche due terzi delle azioni che aveva ricevuto in donazione) vanno quindi al coniuge, erede legittimario, che dopo qualche anno si risposa.

Il 33,3% del capitale sociale della società di famiglia diventa così di proprietà di terzi, non legati da vincolo di sangue o di coniugio con l’imprenditore che, oltre a dover affrontare il dolore per la perdita di un figlio, è costretto a vedere un terzo di quella che era la sua società finire ad estranei, mentre se tale donazione non fosse stata posta in essere tutte le azioni sarebbero state ereditate dall’altro figlio.

La donazione è quindi uno strumento nel complesso poco efficiente per il passaggio generazionale, della quale normalmente non si colgono i (molti) possibili aspetti negativi.

Il nostro ordinamento offre una serie di strumenti giuridici che, se adeguatamente utilizzati, consentono di giungere a soluzioni pienamente soddisfacenti e di evitare sgradite conseguenze, ma programmare il passaggio generazionale di imprese o di patrimoni significativi è un’attività che richiede tempo, riflessione e analisi ed è quindi importante porre in essere tale pianificazione per tempo.”

Andrea Vasapolli –  We Wealth.

Il modello alternativo di Fabbrica delle Professioni

FDP propone un modello diverso, che contempla certamente le necessarie competenze, ma che prevede un approccio interdisciplinare ed alleanze con studi di professionisti nell’ambito della tutela del patrimonio. Un approccio nel quale i ruoli siano chiaramente distinti e che comporti la creazione di valore immediatamente percepita dal cliente.

Riteniamo che il cliente percepirebbe un grande valore se tramite il CF potesse avere, gratuitamente, una bozza di progetto patrimoniale stilato da professionisti “convenzionati”.

Compito del consulente finanzario dovrebbe essere quello di motivare al cliente l’utilità di un approccio interdisciplinare. Questa modalità evita che il consulente finanziario appaia come un tuttologo e quindi poco credibile.

Un evento formativo finalizzato a questo scopo può essere progettato in modalità di aula tradizionale affrontando i seguenti contenuti:

  • Tutela patrimoniale: le conoscenze essenziali che deve avere il CF
  • Gli aspetti di natura psicologica legati al patrimonio:
    • Famiglia e patrimonio, l’energia del denaro
    • La forza del dominus e le conseguenze sulla successione del patrimonio (cosa accade agli equilibri famigliari quando viene a mancare il dominus)
    • La strategia famigliare: come definirla con l’ascolto attivo e la maieutica (ruolo del Cf)
    • Il progetto famigliare: come mantenere il patrimonio nel tempo garantendo la serenità della famiglia (ruolo del professionista che supporta il consulente)
    • L’allocazione del patrimonio mobiliare in funzione del progetto famigliare (ruolo del CF)
    • Il monitoraggio del progetto famigliare in funzione degli eventi in capo alla famiglia e delle normative, sentenze, leggi (ruolo del professionista che supporta il Cf)
    • Il monitoraggio del patrimonio mobiliare in funzione del monitoraggio del progetto famigliare (ruolo del CF)
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I comportamenti funzionali: un’azione per ogni reazione

Un buon ascolto, una relazione fluida ed efficace e una solida fidelizzazione sono significativamente legate con le tipologie di neurotrasmettitori attivati dai nostri comportamenti.

Si è visto come la nostra percezione degli stimoli esterni (inclusa la lettura dell’ambiente) e la
loro rielaborazione dipendano da aree cerebrali specializzate che, in relazione al nostro
sostrato archetipico ed emozionale, sono attivate da stimoli fisico/chimici (ormoni e neurotrasmettitori).

Da precisare che il contesto in cui si agisce è regolato da dinamiche in forte e continua
interconnessione: la componente chimica assume un ruolo fondamentale sia in relazione alle
aree cerebrali coinvolte dai vari stimoli che –non da meno– in relazione alle modalità di
ricezione.

Questo aspetto è di fondamentale importanza nella comprensione dello sviluppo pratico del
nostro studio. Infatti, un buon ascolto, una relazione fluida ed efficace e una solida
fidelizzazione sono significativamente legate con le tipologie di neurotrasmettitori attivati dai
nostri comportamenti e con le tipologie di aree cerebrali su cui tali neurotrasmettitori agiranno.

Ciò che per noi conta maggiormente è scoprire che sul “come” e sul “dove” vengano attivati ci sono margini di intervento (“comportamenti funzionali”).

La tabella allegata ci indica i principali neurotrasmettitori, quali fenomeni determinano e da
quali comportamenti funzionali vengono “accesi”.

Anche per semplicità di presentazione, ci soffermeremo soprattutto su quelli che riteniamo i
principali fattori scatenanti: dopamina e adrenalina.

I comportamenti funzionali: aree e funzioni cerebrali

comportamenti-funzionali-1

La chiave?

Un ciclo di Domande-Ascolto-Obiezioni, opportunamente perfezionato in fieri, per comprendere, prevenire e anticipare i comportamenti cognitivi dell’interlocutore raggiungendolo nelle reazioni psicologiche, chimiche e fisiologiche del suo processo cognitivo, ovvero, con le emozioni, la logica ed il ragionamento.

In che modo?

Ottimizzando il rapporto adrenalina-dopamina così da, all’occorrenza, rifocalizzare il focus della sua attenzione sui diversi punti cogenti della consulenza, ridurre le situazioni di stress, mantenere alto il livello di concentrazione e massimizzare la percezione di vantaggi/ricompense collegati all’intervento del consulente.

Cosa fare?

  • Fare leva sul rapporto mirror dei neuroni specchio per instaurare un legame di
    rispecchiamento e immedesimazione con il cliente, rassicurandolo e
    avvicinandoglisi sempre più, rivolgendogli domande via via più “personali”, nella
    continua ricerca del vero motivo scatenante alla base della sua preoccupazione
    principale (il dolore madre).
  • Individuare l’oggetto del problema e le convinzioni limitanti (“gabbia”), cioè quelle
    convinzioni che impediscono il fluire di una efficace relazione, disinnescando
    l’adrenalina e i conseguenti meccanismi “combatti o fuggi”, così da affinare sempre
    più la sintonia con il cliente attraverso l’ascolto attento e comprensivo dei suoi
    feedback.
  • Sollecitare la memoria del lavoro e la motivazione per mezzo della dopamina,
    scomponendo il problema, semplificando, mettendo in fila gli obiettivi e condividendo
    strategie e percorsi per l’adempimento di piccoli e raggiungibili step/ricompensa.
  • Riposizionare la concentrazione e stabilire preziosi momenti di controllo con
    l’intervento dell’adrenalina, rifocalizzando le criticità, dando loro il giusto peso,
    mantenendo lo stress –quindi anche l’adrenalina– a livelli ottimali.
  • Consolidare i nuovi processi cognitivi stimolando la dopamina, evidenziando le
    positività e le ricompense (caratteristiche e vantaggi delle soluzioni di offerta
    presentate), utilizzando domande aperte ed efficientando i processi di memorizzazione
    mediante l’associazione dei concetti ad immagini ed eventi positivi.

Comportamenti funzionali: conclusioni

Questi, dunque, i comportamenti funzionali di cui servirsi per ottimizzare tutte le dinamiche
che influenzano la relazione consulente/cliente, riuscendo a scomporre il mosaico di abitudini,
convinzioni “gabbia” e bias e ricomporlo nel nuovo scenario che questa nuova consulenza ha
reso possibile, concreto e realizzabile:

  1. Individuare il dolore “madre” (Che cosa ti preoccupa?)
  2. Stabilire e condividere “Pesi” e “Ordine” delle principali preoccupazioni/criticità
  3. Semplificare le criticità
  4. Individuare le convinzioni limitanti “gabbia” (Che cosa ti impedisce di…)
  5. Semplificare e condividere “Pesi” e “Ordine” dei fattori limitanti
  6. Far emergere le positività delle alternative offerte (caratteristiche/vantaggi)
  7. Stabilire degli obiettivi di progetto di consulenza parziali, finali e raggiungibili,
    evidenziando le ricompense
  8. Condividere i sistemi di controllo

Nel cliente, il risultato tangibile più evidente sarà il profondo cambiamento di prospettiva:
attraverso il processo auto-conoscitivo messo in atto, avrà maturato quella consapevolezza
che gli permetterà di spostarsi dalla precedente stasi del no al nuovo ritmo del sì.

 

Nicola Onorati
Fondatore di “Onorati Solutions”
Partner di “Fabbrica delle Professioni”
Redazione a cura di Giovanni Del Giudice

Consulenza? È tutta una questione di chimica

“Le emozioni e i sentimenti non sono una lussuria, sono il modo di comunicare i nostri stati mentali alle altre persone. Ma sono anche una guida per poter prendere decisioni”.

Antonio Damasio, neurologo portoghese che studia il ruolo delle emozioni nei meccanismi razionali, ha riconosciuto che l’uomo, tra tutti gli esseri viventi, ha perfezionato la propria coscienza sviluppandola non solo attraverso il ragionamento logico ma anche con l’apporto della memoria, della creatività e delle immagini.

Le immagini, inoltre, sono riscoperte come il frutto di una reazione sensoriale (fisica) ad uno stimolo concettuale (psicologico): sono la rappresentazione simbolica che elaboriamo per dare forma tangibile e fruibile ad una nozione appresa, ad un ricordo, ad un’esperienza o, più semplicemente, per materializzare il flusso dei nostri pensieri.

La valutazione delle alternative in situazioni decisionali

Per Damasio, le emozioni non sono che il contrappunto fisico di precisi processi cerebrali, innescati dall’acquisizione o dalla rievocazione di un’immagine mentale. Per di più, l’impronta emotiva associata ad una determinata immagine diventerà un vero e proprio “marcatore somatico”, che indurrà analoghe reazioni in contesti simili, condizionando l’identificazione e l’elaborazione degli eventi.
In una situazione decisionale, la risposta sarà dettata dalle reazioni psico-fisiche scaturite dalla valutazione di tutte le alternative disponibili: gli esiti delle prefigurazioni di tutti i potenziali scenari, in cui alcuni richiameranno emozioni più positive e piacevoli di altri, influenzeranno e guideranno l’intero processo di scelta.

Con tali premesse, un operatore/consulente “attento” non potrà che ampliare l’area del proprio intervento.

Intervenire sulle convinzioni “gabbia/limitanti”

Inoltre, lungi dal voler ridurre tutto ai soli meccanismi biologici, Damasio illustra chiaramente come i processi cognitivi e decisionali siano la sintesi di una complessità di stimoli e processi tanto psicologici quanto fisici, dimostrando che lo sviluppo della coscienza (sensibilità, percezione, memoria, conoscenza) è un continuo divenire e, dunque, è tanto influenzato dal passato quanto condizionabile dal presente e dalle prospettive future.

Tutto questo, per noi, si traduce in una fondamentale presa d’atto: su tutte le convinzioni, anche su quelle c.d. “gabbia/limitanti”, noi possiamo intervenire, trovando un punto d’accesso in una delle diverse fasi (fisiche e/o psicologiche) di tutto il processo.

Imparare a sfruttare le emozioni nelle dinamiche di consulenza

I comportamenti funzionali possono fungere da appoggio nell’equilibrio dei processi: aiutandosi con l’azione dei neurotrasmettitori, infatti, è possibile influenzare il marcatore somatico nell’elaborazione di proposte, domande e obiezioni.
L’adrenalina, ad esempio, è alla base della capacità di attenzione e regola i meccanismi “combatti o fuggi”: se uno scarso apporto determinerà una scarsa attenzione, un’eccessiva stimolazione farà alzare le barriere cognitive, blindando qualsiasi intervento.

Fondamentale, quindi, il ricorso alla dopamina, ovvero il neurotrasmettitore deputato agli stimoli motivazionali e ai sistemi di ricompensa.
Raggiungere e mantenere questo equilibrio continuo, rendendo efficiente il rapporto dopamina-adrenalina (attenzione-scelta-ricompensa), apre il processo cognitivo all’inserimento di nuovi concetti: valorizzarne le immagini attraverso la materializzazione è la chiave per renderli compatibili con il sistema di archetipi del cliente, accettabili e, soprattutto, efficaci e duraturi.

Al fine di favorire le relazioni sociali (consulente/cliente, capo/collaboratore etc.), l’ottimizzazione del rapporto tra adrenalina e dopamina potrà essere gestita e guidata attraverso specifici comportamenti, quelli c.d. “funzionali”, di cui parleremo nel prossimo articolo.

“Le emozioni e i sentimenti non sono una lussuria, sono il modo di comunicare i nostri stati mentali alle altre persone. Ma sono anche una guida per poter prendere decisioni”.

 

Nicola Onorati
Fondatore di “Onorati Solutions”
Socio-partner di “Fabbrica delle Professioni”
Redazione a cura di Giovanni Del Giudice

La strada verso il Wealth: domande, ascolto, obiezioni

Le scoperte fatte sulle dinamiche dei processi decisionali continuano a smuovere l’interesse di numerosi players alla ricerca di nuove soluzioni applicative nelle valutazioni commerciali. Di che cosa si tratta?

Ha ancora senso, oggi, recuperare gli insegnamenti delle maggiori Scuole di pensiero della Programmazione Neurolinguistica? Le linee guida della Pnl sono ancora valide?

Sì, ed è anche il modo migliore, se non l’unico, per capire i perché profondi dei processi cognitivi, tracciando un virtuoso percorso di relazione che tiene conto di tutti gli elementi delle diverse Scuole e dei progressi conoscitivi conquistati in questo ambito.
Il pluralismo delle interpretazioni dei risultati scientifici (Pnl, il cervello trino di Paul D. MacLean, dottrine commerciali etc.), sebbene non sempre sia riuscito a fornire un cristallino chiarimento su alcuni comportamenti funzionali, ci ha comunque offerto preziosissime occasioni di riflessione sul come ottimizzare i processi per ottenere risultati migliori.

Questi step evolutivi sono attuabili seguendo una guida insostituibile: il trade-off tra Domande/Ascolto/Obiezioni (Dao), vero punto di arrivo e ripartenza per il processo di rinnovamento.

Cosa rende questi comportamenti “funzionali”? Cosa c’è dietro?

Osservando le reazioni scaturite dalla ricezione di uno stimolo sensoriale esterno, le dottrine degli ultimi decenni hanno ipotizzato una settorializzazione delle funzioni cerebrali: per ogni tipo di stimoli da recepire ed elaborare esiste un’area specifica così come, in parallelo, esiste un sistema integrato di collegamenti.
Per un medesimo stimolo, di contro, neurotrasmettitori diversi veicolano differenti reazioni: comprendere le cause della percezione e le dinamiche dell’elaborazione permette di capire, prevenire, anticipare e gestire i comportamenti funzionali.

L’analisi del loro funzionamento si articola per tre “vie” principali in continua comunicazione tra loro, proprio come i nodi di un network:

• la via fisiologica
• la via chimica
• la via psicologica

Tutte e tre, da considerare e percorrere simultaneamente, convergono nel compimento del nostro obiettivo.

Alla ricerca del Wealth: un processo che parte dall’interno

Prevalentemente, i segnali arrivano al talamo che, smistandoli, va a coinvolgere la neurocorteccia (ragionamento e logica) e l’area limbica (emozioni e impulsività).
Accade però che, con un lieve anticipo sui processi di razionalizzazione della neurocorteccia, siano l’area limbica e l’amigdala a riceverli ed elaborarli per prime, con la conseguenza di innescare una reazione istintiva, prima ancora che razionale.

Infine, tracce di questo processo circolare rimangono nell’ippocampo diventando memoria, arricchendo il sistema di percezione e decodifica degli stimoli futuri e articolando il complesso di convinzioni.È dunque da abbandonare il pensiero che quello delle convinzioni sia un impianto rigido e definito: non esistono convinzioni dei clienti su cui non si possa intervenire e, consci della triplicità delle fasi percettive (istintive, emotive e razionali), le modalità e gli strumenti operativi non sono pochi.

Come entrare nei processi cognitivi e nella loro ciclicità?

Considerando le reazioni determinate dall’intensità della comunicazione sinaptica all’interno di un sistema a rete, come un network del network. Ad esempio, un buon livello di dopamina determina maggiore motivazione e attenzione del cliente, da gratificare con un sistema di ricompense; un giusto livello di adrenalina, invece, comporta un bilancio tra ricordi positivi e negativi: spostando continuamente il focus da un elemento all’altro, questo contrasto sollecita l’attenzione, innalzando nuovamente i livelli di dopamina.

A questo si aggiunga la consapevolezza olistica che il cliente è un unicum che, per la poliedria del suo vivere e la molteplicità dei processi cognitivi, è avvicinabile sia in tempi che in modi differenti e diversificati.
Un pratico esempio operativo? I sei cappelli di De Bono (di cui parleremo prossimamente).

In occasione del prossimo articolo, dunque, analizzeremo il rapporto tra le vie “chimica-psicologica” e i comportamenti funzionali.

 

 

 

Nicola Onorati
Fondatore di “Onorati Solutions”
Socio-partner di “Fabbrica delle Professioni”
Redazione a cura di Giovanni Del Giudice

EY: il 44% dei clienti italiani private vuole cambiare wealth manager in tre anni

Far percepire ai clienti l’importanza della consulenza e delle commissioni può accadere soltanto se il cliente comprende la professionalità e il valore aggiunto di quanto gli viene consigliato. Tutto questo passa, come sempre, se il Consulente riesce ad instaurare una relazione profonda con i propri clienti mediante un corretto processo di comunicazione.

Il 44% dei clienti italiani private dichiara di voler cambiare il proprio wealth manager nei prossimi tre anni. E il 46% lo ha già fatto nell’ultimo triennio.

È questa la notizia più sorprendente emersa dal report Global Wealth Management 2019 di EY condotto in 26 Paesi su 2.000 clienti (50 in Italia).

“I clienti italiani si dimostrano meno fedeli alla propria banca rispetto al campione globale, dove i clienti disposti a cambiare sono “solo” un terzo. E tale fenomeno risulta più rilevante all’aumentare del patrimonio e nei momenti di discontinuità della propria vita” ha evidenziato Giovanni Incarnato (in foto), partner e responsabile wealth e asset management Italia, presentando lo studio in un incontro a Milano (ecco le foto), con la partecipazione dell’Associazione italiana private banking (Aipb).

“In questo senso, i wealth manager possono sfruttare significative opportunità per ingaggiare i propri clienti nell’utilizzo di prodotti e servizi associando soluzioni semplici e goal-based in grado di intercettare il bisogno del cliente, ad esempio nei principali momenti di trasformazione della vita familiare come la nascita di un figlio (spinge al cambiamento il 78% degli Italiani), un nuovo lavoro (75%), eredità o avvio di una nuova attività (63%)” ha proseguito il responsabile wm della società di consulenza aziendale.

“Molti clienti non ritengono di pagare fee eque e faticano a capire quanto pagano effettivamente per i servizi richiesti” ha poi puntualizzato. “Il 63% dei clienti ha bassa percezione del livello e della composizione delle commissioni pagate, oltre a non conoscere le modalità di remunerazione del proprio wealth manager. E, per questo, i clienti richiedono più trasparenza sia sulle commissioni pagate sia sulle performance dei propri investimenti”.

Fonte CityWire

Centro di gravità permanente? Non nel Wealth Management

Richard Normann, ne “La gestione strategica dei servizi”, specifica l’importanza della materializzazione dei servizi ed è certo che gli strumenti informatici ci riescano benissimo. Tuttavia, sebbene i tools siano potentissimi facilitatori nel ridurre i limiti della fallibilità umana e della razionalità, essi sono anche suscettibili dei bias cognitivi del consulente

Che cosa offro?

Come lo offro?

Come l’ho offerto nel tempo?

Nel potenziamento della competitività si punta sempre su prodotti, servizi, tecnologie e processi, dimenticando spesso un’ultima fondamentale domanda che invece finalizza gli sforzi da compiere:

Come viene percepito ciò che sono e ciò che offro?

Infatti, la sola offerta con il combinato disposto “tecnologico” non va lontano, se non è supportata da tecniche di relazione che massimizzino nel cliente la percezione di organicità e congruenza di tutta la proposta commerciale.
Soltanto riuscendo a trasmettere la pertinenza e l’efficacia dei nostri interventi si potrà attuare un macro-approccio sistemico per far convergere i processi, i servizi e le tecnologie in un piano d’azione che soddisfi bisogni reali e definiti.

Richard Normann, ne “La gestione strategica dei servizi”, specifica l’importanza della materializzazione dei servizi ed è certo ed evidente che gli strumenti informatici ci riescano benissimo.

Tuttavia, se i tools sono potentissimi facilitatori nel ridurre i limiti della fallibilità umana e della razionalità, sono anche suscettibili dei bias cognitivi del consulente.

Inoltre, è bene tenere presente che la tecnologia è una commodity e in quanto tale garantisce un vantaggio competitivo di brevissimo periodo: su quale strumento/servizio e con quale peso strategico è indispensabile investire per non rimanere intrappolati nello spettro d’azione in cui, con risultati effimeri, sopravvive solo “chi spende di più”?

Occorre, nelle strategie aziendali, centralizzare al massimo la figura del consulente, immaginandolo come l’unità base, centrale e “completa” nel suo essere.

 

L’advisor è esso stesso un’azienda? Certamente!

È il micro-cosmo che, al centro tra domanda e offerta, deve posizionarsi sia all’interno di una strategia aziendale che dentro l’universo del cliente, in virtù di tre aree di competenze indispensabili per un nuovo tipo di consulenza:

  • la conoscenza dei servizi/prodotti offerti a cui poter attingere, come un bibliotecario al suo archivio, per fornire il contenuto più congruo alle richieste del cliente;
  • una padronanza degli strumenti tecnologici tale da renderli più friendly e agevolarne il processo di adozione, migliorando la qualità dei risultati e il livello di soddisfazione;
  • nuovi paradigmi di relazione commerciale.

Quindi, così per l’azienda così per il consulente, si dovranno tenere insieme tanto le variabili che influenzano i servizi quanto quelle che originano e alimentano la domanda: il cliente è una pluralità da considerare come un unicum, che vive di patrimoni finanziari e immobiliari ma anche di attività e rischi professionali, di nuclei familiari, di esigenze, dinamiche e così via. Occorre investigare tutto ciò di cui e per cui il cliente vive. Continuamente.

Eppure, sebbene l’innovazione richieda nuovi paradigmi di conoscenza e relazione, si destinano più ore di formazione alle tecnologie e agli adempimenti amministrativi di quanto tempo si dedichi a far crescere le strutture commerciali sul fronte della relazione con il cliente.

Perché, invece, non invertire le priorità negli investimenti e capitalizzare la crescita professionale ampliando e riattualizzando, in chiave commerciale e relazionale, l’orizzonte applicativo delle scuole di pensiero?
Solo ricostruendo i perché profondi delle tecniche di “vendita”, e dunque risalendo all’origine dei processi cognitivi, riusciremo a creare il nostro spazio vitale assumendo una posizione che rimanga competitiva nel tempo.

I percorsi su cui si concentreranno le prossime riflessioni saranno dunque i seguenti:

  • rimodulazione delle tecniche di relazione attraverso i paradigmi delle neuroscienze;
  • definizione di contenuti e processi commerciali atti ad ottimizzare la capacità competitiva dell’azienda.

 

Nicola Onorati
Fondatore di “Onorati Solutions”
Socio-partner di “Fabbrica delle Professioni”
Redazione a cura di Giovanni Del Giudice

Nuova teoria evoluzionistica: chi sopravvive sul mercato?

Se è vero che la variazione crea nuove forme di vita e la selezione preserva quelle che meglio si sono adattate all’ambiente, quale esemplare sopravvive oggi alla “nuova” teoria evoluzionistica? L’egoista o chi si accontenta di trovare il proprio spazio?

Sopravvive chi è più egoista o chi si accontenta di trovare il proprio spazio? Aldilà di tutti i corsi e i discorsi sull’evoluzione umana, la dura legge del più forte vale sempre su tutto, o può esistere un approccio diverso al mondo, alle cose e alle persone?

 

Nuova teoria evoluzionistica

Ne La ragione nelle vicende umane (Bologna, Il Mulino, 1984), Herbert Simon espone, in un saldo confronto con i temi evoluzionistici darwiniani, le sue teorie maturate in ambito comportamentale. Già Darwin, infatti, ritenne opportuno evidenziare le combinazioni di scelte e i meccanismi biologici alla base dei processi evolutivi, sottraendo così le mutazioni genetiche al principio di casualità.

Variazione e selezione: chi crea e chi preserva

La variazione crea nuove forme di vita. La selezione preserva quelle che meglio si sono adattate all’ambiente.

Due, dunque, le vie per sopravvivere:
• la lotta per il possesso dell’ambiente, sviluppando un gene egoista sempre più aggressivo per aumentare le chance di sopravvivenza;
• la ricerca del proprio spazio attraverso l’individuazione di una nicchia libera e la specializzazione per il soddisfacimento di bisogni specifici.

In un mercato in cui i soggetti economici insistono sullo stesso campo per raggiungere gli stessi target, per vincere occorrerà necessariamente diventare il più forte, ma si rimarrà sui gradini più bassi della piramide competitiva.

Come competere sulla piramide?

Nuova teoria evoluzionistica

Ricercando una nuova nicchia ambientale attraverso una strategia lungimirante e scalabile; vale a dire:

  • Abbandonando la “logica” della sola consulenza finanziaria per ergersi ad interlocutore olistico e privilegiato del cliente;
  • Rinnovando la dimensione del rapporto consulente-cliente;
  • Cambiando le tecniche di relazione per riuscire ad entrare nel suo mondo e ampliare la consapevolezza dei propri bisogni;
  • Intervenendo in conseguenza dei limiti della razionalità che consentono all’homo administrativus di scegliere soltanto l’alternativa più soddisfacente nella consapevolezza dei “bias cognitivi”;
  • Facendosi carico realmente della identificazione e della gestione dei bisogni del cliente.

Avete mai analizzato la condizione di un’azienda valutando soltanto i flussi di cassa generati dai titoli di proprietà, senza considerare la situazione patrimoniale, economica e finanziaria complessiva?

Patrimoni mobiliari, immobiliari e professionali, i nuclei familiari e la sfera personale costituiscono l’orizzonte da declinare in ottica programmatica, con una pianificazione temporale che proietti verso nicchie competitive nuove e non ancora presidiate.

Come valorizzare il proprio business

Nuova teoria evoluzionistica

Diventano quindi necessari servizi, tecnologie, processi, competenze e capacità adeguati per l’ottimizzazione valoriale del business.

Insediarsi in una nicchia personalizzata, con nuovi bisogni da esplorare e dunque nuovi paradigmi relazionali, centralizzando la figura del consulente finanziario, implica dunque la necessità di rimodulare le dinamiche di gestione del patrimonio umano aziendale: assessment, politiche di acquisizione, modalità di gestione, strategie e programmi formativi, etc.

Con la comprensione approfondita dei processi cognitivi e decisionali del cliente, grazie a nuove tecniche relazionali e operative che sopperiscano alla razionalità limitata e amplino lo scenario d’azione, il consulente non dovrà acquisire un nuova enciclopedica conoscenza, ma piuttosto coltivare una nuova sensibilità, quale capacità di percepire la complessità dell’universo di bisogni del cliente e coniugarla alla totalità dell’offerta.

La metafora della biblioteca

Si dovrà quindi arricchire il bagaglio conoscitivo, relazionale e operativo articolandolo secondo la metafora della biblioteca: quanto più sarà amplia e diversificata, tanto più potrà offrire al cliente il libro più adatto all’esigenza specifica.

 

 
Nicola Onorati
Fondatore di “Onorati Solutions”
Socio-partner di “Fabbrica delle Professioni”
Redazione a cura di Giovanni Del Giudice

mental-coach-golf

Nella sacca del golfista mancano spesso i “ferri mentali”

Il golf è uno sport in crescita e, come tutti i settori che crescono, vede innovazioni sistematiche e con alta frequenza. Senza tornare troppo indietro nel tempo basta guardare un filmato di un po’ di anni fa per apprezzare nei gesti tecnici, nell’abbigliamento, nelle attrezzature ed anche nei campi grandi differenze rispetto allo stato attuale.

I ferri da golf, ormai, di ferro non hanno quasi più niente. Shaft in grafite per tutte le età, in acciaio per i più “duri”; ibridi con varie angolature.

Il golfista amatore, a tutti i livelli di handicap, risulta essere molto attento alle novità che il mercato gli presenta e, soprattutto quando il suo gioco latita, decide sovente di cambiare qualcosa all’interno della propria sacca.

Eccolo, allora, in un negozio, davanti ad un simulatore, a scegliere l’attrezzatura più consona al suo swing. Nel giro di pochi mesi, a fronte della sistematica incostanza del suo gioco, il nostro golfista avrà cambiato il putt, il drive e si sarà affidato ad alcuni ibridi.

golf

Purtroppo, questo sport necessita di una componente mentale come nessun altro. Ed allora sorge spontaneo domandarsi perché il dilettante non si preoccupi di dotarsi anche di “ferri mentali” efficienti e all’avanguardia come quelli tecnici.

Nel golf elementi come: concentrazione, sicurezza di se, ottimismo, visualizzazione ed altri aspetti legati alla nostra fisiologia cerebrale sono elementi che possono aiutare molto a migliorare la performance.

Nonostante ciò quasi nessuno si prende cura di sviluppare queste abilità. Anche il dilettante dovrebbe, pertanto, allenare i propri “ferri mentali” per il golf con la stessa caparbietà con la quale cambia l’attrezzatura e portarsi in campo, quindi, due sacche: una con i 14 ferri consentiti ed una con altri 14 “ferri mentali”.

Questi ultimi non si acquistano nei negozi di sport, ma possono essere sviluppati partecipando a specifici percorsi formativi, affidandosi ad un Mental Coach che aiutino il golfista a vivere il proprio sport in maniera più rilassata, più performante e divertente.

Fabbrica Delle Professioni può erogare corsi per un corretto approccio mentale al golf e avvalersi di Mental Coach specializzati in questo sport. Scopri di più!

wealth management

Wealth Management: la nuova frontiera della relazione

Mercato del Wealth Management in continua crescita, oggetto di interesse da parte degli intermediari finanziari. Qual è la relazione tra consulenza, tecnologia e neuroscienze?

L’osservazione della rapidissima evoluzione del mercato negli ultimi anni e dei nuovi trend emergenti fra domanda-offerta continua ad offrirci, quotidianamente, interessantissimi spunti di riflessione e approfondimento.

A livello mondiale il mercato del Wealth Management registra una continua crescita, con una conseguente diffusa e forte attenzione da parte degli intermediari.

La risposta di questi ultimi, anche quelli non propriamente e storicamente focalizzati sul target, è stata:

  • il rafforzamento della propria offerta, proponendo nuovi servizi anche in ambito propriamente “patrimoniale”,
  • puntando molto sulla tecnologia con lo sviluppo di nuove piattaforme e nuovi sistemi per la gestione dei processi interni,
  • abbracciando la logica degli advisory tools, dei robot finanziari etc. e, a volte, investendo anche oltre il “buon senso aziendale” nell’acquisizione di portafogli attraverso un recruiting “selvaggio”.

Una delle chiavi di lettura indispensabili per poter scrivere un futuro diverso dal presente che stiamo vivendo ci viene offerta dalle teorie di Herbert Simon (premio Nobel per l’Economia nel 1978 grazie ai suoi studi condotti in ambito di Economia comportamentale) e dagli assunti delle principali Scuole di Pensiero che si sono avvicendate a partire dal Novecento fino ai giorni nostri.

L’osservazione sull’affollamento competitivo sembrerebbe scontata eppure, valutando quanto è stato fatto in questi anni, non è per nulla così. Abbiamo invece assistito ad un’accanita corsa a chi offre il servizio più innovativo, aumentando così il livello di competitività fino a livelli insostenibili, e al pericoloso restringimento dello scenario competitivo che, essendo aggredito da tutti, non sarà mai abbastanza ampio da riuscire a ripagare gli sforzi compiuti: sforzi, dunque, del tutto vani!

Wealth Management: orizzonti di lungo periodo

Eppure l’aspetto più distruttivo di questo processo è l’introduzione di un elemento di sopravvivenza darwiniana affidato ad un vantaggio competitivo del tutto effimero e di brevissima durata.

L’eventuale distacco che può derivare da una simile tipologia di innovazione viene puntualmente colmato dalla concorrenza in men che non si dica. Il risultato? A voi la risposta… Non solo! I clienti non percepiscono né l’entità né il valore di tali interventi e quindi non sempre li considerano né determinanti nel processo decisionale né incentivanti per la soluzione delle profonde e personali esigenze.

Si accentua così la necessità che la gestione gli assets abbia un perimetro ampio e un respiro “patrimoniale”.

wealth management

 

Mi permetto inoltre di manifestare qualche perplessità nei confronti di quegli intermediari che, su target di cliente medio/alto, continuano a investire in formazione esclusivamente legata al mondo della sola pianificazione finanziaria. Forse sarebbe stato sufficiente venti anni fa, per essere buoni.

Così va da sé che la discriminante non potrà certo risiedere soltanto nell’offerta di maggiori servizi ma in un valore aggiunto ad essa perfettamente integrato, ovvero una strategia di pianificazione patrimoniale (pianificazione-tempo/patrimoniale-spazio) basata su valutazione “globale” del cliente.

Vale a dire una consulenza a tutto tondo e che si rivolga ai bisogni, tenendo conto che il confine tra economia reale e finanza e le esigenze professionali e familiari di ieri e di domani è un “tutto” che non è possibile dirimere.

Intermediari finanziari: relazione con le priorità

Esiste, dunque, una discrasia fra ciò che gli intermediari identificano come priorità del mercato e ciò che il mercato effettivamente richiede? Per rispondere a questa domanda basta fare riferimento ai cambiamenti tangibili.

Anche sotto la considerevole spinta dei regolatori “europei”, tutti gli Istituti hanno avuto la necessità di investire moltissimo in campo tecnologico, per dotarsi di nuovi supporti informatici che li aiutassero ad adempiere alla convergenza e agli standard di trasparenza richiesti.

Parallelamente si è fatto più incalzante l’impegno di nuovi investimenti in ambito “offerta”, a volte per l’intuizione di nuovi “spazi” da aggredire, altre per fenomeni sociali sicuramente condivisibili (ad esempio la finanza sostenibile).

Tuttavia, ancora una volta, ciò che è venuto meno o che senz’altro è stato messo in secondo piano è tutto l’universo relazionale, cioè il collegamento e le modalità d’interazione fra i consulenti e i propri clienti.

Appare evidente che puntare sulla qualità dei rapporti, che costituisce una leva di mercato da utilizzare in fase di “vendita” dei servizi, implica la ricerca del modo migliore per incontrare il sistema di bisogni di ogni cliente e, al contempo, richiede di massimizzare l’efficacia della consulenza, dei prodotti attualmente offerti e quindi, in prospettiva, anche la pertinenza dei futuri investimenti per l’innovazione.

Perché parlare di “nuova frontiera” della relazione?

Un nuovo approccio relazionale diventa indispensabile proprio alla luce di queste analisi: sia per sopperire alle lacune evidenziate in ambito comunicativo che per riuscire a trasmettere l’effettiva necessità e reale utilità dei servizi e degli strumenti offerti, tanto quelli vecchi tanto più quelli di nuova generazione.

Parlando in termini squisitamente pratici, quindi, ciò che serve è la messa a punto di un “diagnostico” che sia nuovo, come nuove sono le esigenze del mercato e le informazioni da trasferire, e necessariamente più pertinente ed efficace.

Al centro di tutto, dunque, occorrerà ricollocare il cliente e i processi relazionali, rivalutando l’importanza del processo dialettico (domande-obiezioni-risposte), cogliendo le opportunità offerte da ciascuna fase e introducendo quegli elementi di rottura che diventano fondamentali nelle letture comportamentali.

Occorre, insomma, dare una nuova dimensione al rapporto cliente-consulente e riconsiderarne le direttrici. Come fare? Attraverso l’approfondimento delle dinamiche relazionali e lo studio di percorsi innovativi che conducano al cuore dei bisogni del cliente.

Wealth Management: riscoprire la figura del cliente con i passi da seguire

Per riscoprire la figura del cliente sarà inevitabile reinventare il ruolo del consulente. Se, infatti, uno degli assi portanti sarà la costante del rapporto-ricalco, un altro sarà sicuramente costituito dalle sfide collegate ai bias cognitivi e al debiasing quale logico “disinnesco”.

Il percorso, fortemente incentrato sullo studio dei processi cognitivi, dovrà essere funzionale ad una più profonda comprensione dei meccanismi neuro-biologici che muovono le decisioni finali.

Sotto la luce delle neuroscienze, inoltre, si dovrà rintracciare un nuovo filo conduttore che accomuni gli studi di Paul MacLean, Edward De Bono e dei padri della PNL, così da elaborare una risposta attuale alle esigenze contingenti e aprire prospettive applicative inedite.

Per rendere ancora più stimolante il tutto saranno le interazioni con i clienti, dal momento che i loro feedback –obiezioni agli argomenti proposti, domande sorte da nuove esigenze, testimonianze di esperienze personali o quant’altro– diventeranno la fucina di questa “Nuova frontiera della relazione” e del suo nuovo diagnostico.

 

Nicola Onorati
Fondatore di “Onorati Solutions”
Partner di “Fabbrica delle Professioni”
Redazione a cura di Giovanni Del Giudice

L’arte di fare domande!

Molti pensano che fare domande possa infastidire il cliente. Al contrario, se sono poste nel modo giusto, per esempio aperte, forniscono preziose informazioni e, spesso, dimostrano un alto grado di attenzione verso l’interlocutore.

Impara a fare domande con Fabbrica Delle Professioni!

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