Marina Magni

Magni cum laude – Quanti tipi di visita fare ai clienti?

Suggerisco 3 distinti tipi di visita che non devono essere sovrapposti e la cui finalità va comunicata chiaramente al cliente nel momento in cui viene fissato l’appuntamento.

L’efficacia della relazione con i clienti, intesa come progetto di vita finalizzato al raggiungimento del benessere economico attuale e futuro, è determinata, in buona misura, da come sono pianificati e finalizzati gli incontri post-acquisizione.

Suggerisco 3 distinti tipi di visita che non devono essere sovrapposti e la cui finalità va comunicata chiaramente al cliente nel momento in cui viene fissato l’appuntamento.

  • Visita di monitoraggio rispetto agli obiettivi condivisi
  • Visita di operatività tattica
  • Visita di richiesta referenze per selezione nuovi clienti

Per ogni tipologia di visita c’è un comune denominatore: al termine il cliente deve poter dire sinceramente o, almeno, pensare: “Mi ha fatto molto piacere questo incontro. Grazie“.

Ogni volta che il consulente non ha questa percezione vuol dire che ha fatto un passo indietro nella relazione e si allontana la possibilità di avere referenze spontanee.

Per questa ragione le visite vanno preparate prima con molta accuratezzamettendosi nei panni del cliente ed immaginando quanto ciò che diremo potrà essere ben compreso, utile e personalizzato. Una simulazione mentale della visita è utilissima.

Oggi parliamo della visita di monitoraggio.

Questo tipo di incontro va programmato e concordato col cliente alla sua acquisizione per i prossimi 12 mesi o, se già in portafoglio, all’inizio di ogni anno. La frequenza dipende dalla complessità del progetto che non è necessariamente legata alla quantità di patrimonio. Immaginiamo ad esempio situazioni in cui ci siano scenari professionali in forte evoluzione o possibili donazioni piuttosto che un prossimo passaggio generazionale in aziende famigliari o condizioni di salute precarie.

Dare al cliente il calendario degli incontri per tutto l’anno, con reciproca riserva di conferma una settimana prima, oltre ad essere espressione di attenzione e cura del progetto dimostra nei fatti che la gestione del denaro ha un’ottica di lungo termine ma è determinante il costante monitoraggio degli obiettivi.

La visita di monitoraggio ha come scopo:  riconfermare la finalità delle scelte che sono state fatte, ripercorrendole insieme al cliente, indagare su possibili nuovi obiettivi o situazioni personali, verificare gli scostamentirispetto agli obiettivi ed attuare eventuali modifiche se necessarie.

È un grave errore iniziare la visita partendo dal rendiconto del portafoglio e dalle performance dei singoli componenti perché sposta l’attenzione del cliente sul rendimento e sui prodotti e vanifica la motivazione per cui quel portafoglio è stato realizzato come mezzo per raggiungere gli obiettivi.

L’analisi delle singole performance, peraltro doverosa, va fatta solo dopo aver monitorato gli scostamenti dagli obiettivi. Non è detto, infatti, che un elemento del portafoglio non performante debba essere eliminato, magari sta dando un contributo in termini di riduzione del rischio.

Se vi è capitato che un cliente abbia ricevuto sul conto, in modo da voi inaspettato, una cifra importante frutto di una vendita immobiliare o abbia richiesto un improvviso bonifico rilevante per l’acquisto di una casa significa che non c’è stato monitoraggio degli obiettivi.

Comprare o vendere una casa è, di norma, un processo decisionale che dura settimane o mesi e se il consulente non ne ha informazione prima che accada vuol dire che il rapporto non è ancora solido e ben finalizzato.

*Marina Magni, project manager per Fabbrica delle Professioni e prima donna Area manager dell’industria della consulenza finanziaria italiana, diventa firma di Advisor. La sua nuova rubrica, pubblicata ogni due settimane, intende raccontare gli elementi fondamentali, le regole, di una advisory di successo.

Un consulente finanziario non è un gestore di fondi: innanzitutto deve saper vendere al cliente il processo di consulenza di cui sarà protagonista. E naturalmente lo può fare in maniera alta, efficace e rispettosa degli interessi propri, del cliente e della mandante. Marina Magni, come già fatto con tanti colleghi, insegnerà a farlo.

Magni cum Laude – Cliente e Consulente: chi è simpatico?

Al primo incontro con un potenziale cliente è più importante che il cliente sia simpatico al consulente o che il consulente sia simpatico al cliente? Sono certa che la maggior parte delle persone risponderanno che il consulente sia simpatico al cliente. Errore!

Come possiamo contare sulla casualità? Perché noi dovremmo essere simpatici al cliente? Di sicuro non farà nulla per “imporsi” la nostra simpatia mentre noi possiamo fare molto affinchè il cliente ci sia simpatico e, di norma, la simpatia, intesa come sentimento positivo che si prova verso una persona, è un apriporta per la connessione con gli altri.

Il cliente prima di scegliere il professionista sceglie la persona, lo stesso vale per il consulente: se una persona ci è simpatica, ancor prima di essere diventato cliente, il rapporto professionale ne avrà importanti benefici. Ma in che modo possiamo far sì che il cliente ci sia simpatico? Ecco alcuni suggerimenti:

Evitare giudizi precipitosi: Evitiamo di giudicare rapidamente gli altri e cerchiamo di capire le loro prospettive e le loro esperienze prima di trarre conclusioni.

Fare domande che portino il cliente ad esprimere le proprie opinioni liberamente su temi di interesse generale e di attualità.

Prestare attenzione a ciò che l’altra persona sta dicendo: è possibile che si scoprano delle affinità di pensiero, di valori comuni o esperienze simili. Scoprire interessi o passioni condivisi con qualcuno può rafforzare la simpatia, poiché fornisce un terreno comune per la conversazione e l’interazione.

Essere positivi: Mantenere un atteggiamento positivo e ottimista può influenzare positivamente il nostro umore e contribuire a generare simpatia verso gli altri

Nel momento in cui cominceremo ad apprezzare sinceramente il nostro interlocutore, perché abbiamo scoperto qualche affinità, il nostro atteggiamento cambierà, ci sarà simpatico e quindi saremo più sorridenti, più gentili, più autentici in maniera naturale e, di conseguenza anche il cliente sarà “contagiato” dall’empatia che avremo creato.

In generale, creare simpatia richiede sincerità, rispetto e un desiderio genuino di connettersi con gli altri. Ricordiamoci che la simpatia è una relazione reciproca.

Nell’incontro con un nuovo cliente è importante dedicare il tempo necessario a creare la giusta connessione prima di iniziare a parlare del nostro modello di servizio e di ciò che potremo fare per lui affinché raggiunga il benessere economico e gli obiettivi importanti per lui.

Ma come facciamo a capire se siamo entrati in relazione?

Un grande aiuto ci viene dal linguaggio non verbale e dalla prossemica. Il cliente comincerà a guardarci negli occhi senza imbarazzo, inizierà a sorridere, appoggerà la schiena alla sedia, aprirà le braccia, attiverà una mimica facciale per far capire che condivide ciò che diciamo, tenderà a ridurre le distanze fisiche tra noi e lui. Questa fase dell’incontro, nei testi di tecniche di vendita, si chiama “rottura del ghiaccio” e richiede attenzione e preparazione ma, se fatta bene, determina in modo rilevante il successo dell’incontro.

Questi comportamenti non sono altro che la traduzione operativa di quanto emerge dalle teorie legate all’Analisi Transazionale, alle Neuroscienze, alla PNL. Una traduzione semplicistica? Forse, ma provate a pensare di essere in una scalata e di avere un improvviso attacco di panico. Sarebbe certamente interessante capirne la causa psicologica ma potremmo correre il rischio, nel frattempo, di precipitare. Forse sarebbe più utile concentrarsi sulle cose da fare: non guardare in basso, mettere il piede nella roccia, guardare in alto verso il compagno di cordata. Anche per fare un buon approccio non serve chiedersi quali neuroni a specchio debbano attivarsi o se in quel momento è l’Io bambino o l’Io genitore che parla. Basta fare le mosse giuste.

Trovare nuovi clienti anche in vacanza.

In vacanza siamo tutti più rilassati, meno diffidenti e si crea maggiore empatia con chi sta condividendo la stessa esperienza.

Si potrebbe pensare che parlare di lavoro quando si è in vacanza sia un “onere” da evitare perché le vacanze sono fatte per distrarsi e rinfrescare la mente. Questo è ciò che pensa chi “fa” il consulente finanziario ma non chi “è” consulente finanziario.

Chi è entusiasta del proprio lavoro e lo vive come parte integrante della propria vita trova sempre l’occasione di parlarne anche ai vicini di ombrellone!

Tutti noi abbiamo sicuramente intrecciato conversazioni vacanziere con persone che si occupano delle attività più svariate, di tipo commerciale o professionale, che ci hanno interessati e incuriosito al punto di scambiarci indirizzi e numeri telefonici. Personalmente ho acquistato un’auto da un concessionario conosciuto in vacanza non appena ne ho avuto l’esigenza. In vacanza siamo tutti più rilassati, meno diffidenti e si crea maggiore empatia con chi sta condividendo la stessa esperienza. Quale miglior presupposto?

Ma per incuriosire ed ispirare fiducia è importante essere spontanei elanciare qualche messaggio sulla nostra attività solo se si crea l’occasione giusta che bisogna saper cogliere o creare.

Ad esempio quando si parla di costi aumentati, cosa frequentissima di questi tempi, oppure di condono fiscale, di disoccupazione, di difficoltà per i giovani a trovare lavoro, di incertezza per il futuro, ecc…basta dire: “Nel mio lavoro affronto queste tematiche tutti giorni per aiutare i miei clienti ad orientarsi meglio in questi scenari”.

Arriverà automaticamente la domanda: “perché, che lavoro fai?” ed è qui che bisogna saper gestire molto bene la comunicazione senza perdersi in descrizioni complesse o appellativi incomprensibili che possono generare confusione.>

Evitare quindi ciò che è scritto nella maggior parte dei biglietti da visitadei consulenti finanziari: private banker, life banker, personal advisor, financial planner, pianificatore patrimoniale, ecc…basta dire: “sono (non faccio) un consulente finanziario che si occupa di organizzazione del benessere economico delle famiglie. Lei è già seguito da un consulente finanziario?

Invece, per  creare l’occasione suggerisco di ricordarsi che esistono ancora i giornali stampati. Portare con sé sotto l’ombrellone un giornale di settore può essere l’occasione per commentare una notizia e attivare una conversazione “leggera” su temi finanziari/economici.

Infine utilizziamo i gadget! Tutti i consulenti hanno i cassetti pieni di gadget offerti dalle case d’investimento nei congressi e nelle riunioni. Molti sono facilmente riciclabili. Pensiamo alle chiavette USB, alle penne, ai carica batteria, alle borracce, alle palline antistress….  Tutte cose che possiamo offrire al vicino di ombrellone in caso di necessità, facendo notare che è un omaggio sponsorizzato ricevuto in occasione di un convegno al quale avete partecipato. È altamente probabile che vi venga chiesto di cosa vi occupate.

Allora buone vacanze, con un orecchio attento alle conversazioni!

 

 

bancari

Magni cum laude – Sedere alla destra del…

Recentemente ho visto un video postato da un consulente finanziario. C’era un errore. Chi lo individua?

Recentemente ho visto su un social network un video postato da un consulente finanziario. Il collega presentava la nuova sede della società, bellissima e storica, e mostrava l’arrivo di un cliente invitato a visitare l’immobile. Al termine il consulente invita il risparmiatore a sedersi ad un tavolo imponente, degno della location. I due siedono di fronte e il consulente, orgoglioso, sorride soddisfatto.

Il commento al video faceva riferimento a come l’attenzione alla clientela si manifesti anche nel riceverla in sedi prestigiose: nel caso specifico una residenza d’epoca completamente ristrutturata e con molte opere d’arte esposte. Tutto bello vero? Eppure c’è un errore. Chi lo individua?

Quando ho visto il video ho scritto in privato al consulente complimentandomi per il post e la bella sede ma facendogli notare l’errore. Mi ha ringraziato dicendomi che è all’inizio dell’attività, circa due anni, e che nessuno gli aveva mai fatto presente questo particolare.

L’errore, per chi non lo avesse individuato, è far sedere il cliente di fronte a sé, rendendo la scrivania un elemento di separazione e “schieramento”. Nel caso specifico, poi, la solennità della sede enfatizza queste sensazioni.

Siete abituati a sedervi di fronte al cliente? Se sì, state perdendo un’occasione per facilitare la relazione.

Il posto giusto dove sedersi è a fianco del cliente; e, precisamente, alla sua destra. Solo se siete mancini dovete sedervi alla sinistra.

Perché è importante? Sedere alla destra di qualcuno vi ricorda qualcosa?

“Sedere alla destra di qualcuno significa avere la stessa natura, la stessa dignità e lo stesso potere di colui che siede al centro; Gesù, essendo seduto alla destra del Padre ha la stessa dignità, potenza e natura di Dio Padre.”

Quando sediamo a destra del cliente stiamo comunicando parità, similitudine, l’essere dalla stessa parte. Quando siamo di fronte siamo nella posizione dell’antagonista.

Essere dalla stessa parte è importante perché cliente e consulente devono essere entrambi tutori del patrimonio e devono riuscire a guardarlo dallo stesso punto di vista, per definirne il corretto utilizzo.

Sedere a destra ha anche il vantaggio che potete mostrare documenti, scrivere, condividere un monitor senza impedimenti consentendo al cliente di vedere benissimo.

Inoltre, provate ad immaginare la scena: il vostro braccio sinistro e quello del cliente creano una specie di area delimitata e comune nella quale vengono scambiate informazioni, presi appunti, visti documenti, tutte cose che diventano patrimonio comune. Pensate che enorme differenza!

Se sediamo di fronte, il cliente deve allungare il collo per vedere ciò che gli mostriamo, noi dobbiamo leggere alla rovescia e, quando scriviamo qualcosa, è lui a leggere al contrario. Se siamo accanto è tutto più naturale e trasparente.

Sto dando per scontato che ci sia l’abitudine a prendere appunti e mostrare video, immagini, documenti. Ma di questo tema parleremo in un’altra occasione.

Se la visita avviene nell’ufficio del cliente sedetevi dove lui vi indica: certamente sarà di fronte, se è ad una scrivania. Poi invitatelo a sedervi accanto a voi motivando il fatto che sarà più semplice condividere documenti e appunti. Se lo fate con un sorriso non se ne avrà a male!

In conclusione da domani mai più seduti di fronte al cliente!

*Marina Magni, project manager per Fabbrica delle Professioni e prima donna Area manager dell’industria della consulenza finanziaria italiana, diventa firma di Advisor. La sua nuova rubrica, pubblicata ogni due settimane, intende raccontare gli elementi fondamentali, le regole, di una advisory di successo.

 

Un consulente finanziario non è un gestore di fondi: innanzitutto deve saper vendere al cliente il processo di consulenza di cui sarà protagonista. E naturalmente lo può fare in maniera alta, efficace e rispettosa degli interessi propri, del cliente e della mandante. Marina Magni, come già fatto con tanti colleghi, insegnerà a farlo.

 

Magni cum laude – Chi tiene a bada l’uomo di Neanderthal? Il valore del silenzio

Questa immagine mentale ci aiuta moltissimo a gestire la relazione perché potremo controllare il nostro uomo primitivo quando il cliente sarà aggressivo, scortese, poco attento, superficiale.

Se immaginiamo la storia della Terra come un singolo giorno, l’uomo moderno, Homo sapiens, sarebbe comparso solo negli ultimi istanti di questo giorno ipotetico. L’uomo di Neanderthal e l’Homo sapiens, progenitore dell’uomo moderno, condividono un antenato comune e sono entrambe specie della stessa famiglia, gli ominidi.

Questa rappresentazione del mondo ci aiuta a capire che in ognuno di noi vive nascosto, ma sempre attivo, un uomo di Neanderthal, con intelligenza limitata, costretto a procurarsi il cibo con armi rudimentali, pauroso e aggressivo. Ha vissuto solo qualche frazione di secondo prima di noi.

Quindi ogni volta che incontriamo un cliente ricordiamoci che sono presenti anche il nostro uomo di Neanderthal e quello del cliente. Questa immagine mentale ci aiuta moltissimo a gestire la relazione perché potremo tenere a bada il nostro uomo primitivo quando il cliente sarà aggressivo, scortese, poco attento, superficiale. Nello stesso tempo potremo gestire l’uomo primitivo del cliente attuando comportamenti che lo facciano stare al suo posto.

L’arma più potente che abbiamo a disposizione è il silenzio!

Il silenzio permette all’uomo di Neanderthal di sfogare le proprie paure o aggressività e all’uomo razionale moderno, evoluto, di riappropriarsi della corretta relazione e comunicazione.

Il silenzio è un potente alleato, un’arma vincente che non siamo abituati ad usare perché puntiamo sempre sulle parole, convinti che con una buona dialettica le nostre proposte vengano accettate.

Quando usare il silenzio? Tutte le volte in cui avremmo voglia di rispondere immediatamente per la fretta di esporre il nostro punto di vista sovrapponendoci a quanto il cliente sta dicendo senza lasciarlo finire di parlare e inoltre in queste situazioni:

  • All’inizio di un incontro, dopo i saluti e i convenevoli di rito. Non dobbiamo mai essere i primi a parlare. Facciamo silenzio guardando negli occhi il cliente con un’espressione sorridente. In tal modo gli consentiremo di esporre qualcosa per lui importante che ha fretta di dirci, in alternativa, di fronte al nostro silenzio, ci dirà: “mi dica, di cosa voleva parlarmi?” ma avrà appezzato che gli abbiamo lasciato la scelta.

 

  • Quando ci viene fatta un’obiezione. Spesso, se gli lasciamo qualche secondo di tempo, il cliente si risponde da solo! Se non lo fa, apprezzerà il fatto che prima di rispondere abbiamo riflettuto.

 

  • Al termine di una nostra esposizione o proposta o richiesta. L’errore più grande e, ahimè molto frequente, che si può fare è continuare ad argomentare quando il cliente ha già compreso. Siamo abituati ad ancorarci alle parole e non sappiamo cogliere i segnali di “stanchezza” o di assenso che arrivano dal cliente. Anzi, spesso li vediamo ma continuiamo a parlare pensando che dicendo altre cose si rivitalizzi l’interesse.

Il silenzio è un’abilità sottovalutata nelle tecniche di comunicazione. Utilizzarlo in modo strategico può fare la differenza tra una relazione mediocre e una relazione di successo. Il silenzio favorisce l’ascolto attivo, la riflessione, la gestione delle obiezioni e la creazione di tensione emozionale.

Come consulenti, dobbiamo imparare a sfruttare questa potente arma per costruire relazioni forti con i clienti, comprendere meglio le loro esigenze e aumentare le referenze.

*Marina Magni, project manager per Fabbrica delle Professioni e prima donna Area manager dell’industria della consulenza finanziaria italiana, diventa firma di Advisor. La sua nuova rubrica, pubblicata ogni due settimane, il venerdì, intende raccontare gli elementi fondamentali, le regole, di una advisory di successo.

Un consulente finanziario non è un gestore di fondi: innanzitutto deve saper vendere al cliente il processo di consulenza di cui sarà protagonista. E naturalmente lo può fare in maniera alta, efficace e rispettosa degli interessi propri, del cliente e della mandante. Marina Magni, come già fatto con tanti colleghi, insegnerà a farlo.

 

Marina Magni

Magni cum laude – Ripartiamo dalle origini: i consulenti devono saper Vendere

È arrivato il momento di innaffiare le radici e ripercorrere i principi alla base della comunicazione relazionale. Regole semplici ma efficacissime. Alla fine degli anni ‘70 nasceva in Italia la figura del consulente finanziario. Molti lettori diranno che la dicitura “consulente finanziario” è molto più recente e sostituisce quella di promotore. In realtà, all’esordio della distribuzione di prodotti finanziari, gli agenti si definivano consulenti finanziari.

Certo era un po’ forzata questa definizione perché nella valigetta c’era solo un prodotto anche se vendibile sia come piano di accumulo che come investimento unico.

Oggi, dopo più di 40 anni, i pronipoti di quei pionieri possono con orgoglio chiamarsi consulenti finanziari. I più bravi sono consulenti olistici, professionisti in grado di affrontare col cliente qualsiasi tematica patrimoniale.

I consulenti di oggi sono molto preparati, sono formati costantemente sia su tematiche tecnico- metodologiche sia relazionali ma c’è un però: la formazione offerta dalle aziende a chi gestisce la clientela è molto sofisticata e crea competenze difficilmente applicabili con poche regole riproducibili nella quotidianità. Pensiamo alla PNL, alla finanza comportamentale, alle neuroscienze…

Si sono tralasciati i fondamentali della comunicazione necessari a chiunque abbia relazioni col pubblico a cui propone delle soluzioni. Regole semplici, riproducibili senza dover diventare esperti di scienze della comunicazione. Non si sono curate le radici ma solo i rami e le fronde.

I consulenti più giovani sono “deboli” di fronte a situazioni complesse come l’acquisizione di nuovi clienti, la gestione di un reclamo, un crollo di mercato, la richiesta di referenze. Sono meno efficaci dei loro progenitori che, con orgoglio, si definivano “venditori”.

La parola Vendita, che appositamente scrivo con la “V” maiuscola, è oggi rinnegata come sminuente la professione solo perché se ne dà un’accezione negativa. Vendere è indurre gli altri a fare qualcosa nel loro interesse. Se correttamente interpretata la Vendita è un processo di aiuto nella presa delle decisioni e allora: benvenuti venditori!

Tutti affermano che la vera consulenza è quella basata sugli obiettivi di vita del cliente ed è giustissimo. Ma come si fa ad entrare nella sfera personale, intima del cliente? Come si può indurre il cliente a declinare i propri progetti familiari ad uno sconosciuto? E, soprattutto, come si fa ad essere riconosciuti come registi della strategia che garantirà il benessere economico della famiglia attuale e futuro? Bisogna saper vendere un processo di aiuto.

Il simbolo cinese del concetto “ascoltare” è la migliore interpretazione della Vendita perché un buon Venditore è colui che, prima di tutto, sa ascoltare non solo con le orecchie ma con gli occhi e il cuore dedicando a chi parla la propria completa attenzione.

La prima regola dei consulenti-venditori della prima epoca era così declinata: “lascia parlare il cliente fino in fondo, fai una pausa di riflessione per essere certo che abbia espresso compiutamente il suo pensiero e che tu abbia ben compreso ciò che ha detto”. Nulla di più attuale!

Viviamo in un mondo dove la sovrapposizione verbale è la norma. Abbiamo così poco rispetto di ciò che gli altri dicono che nei vocali whattapp mettiamo il moltiplicatore di velocità perdendo completamente la percezione dei toni, delle pause, delle emozioni che qualsiasi messaggio contiene.

Forse è arrivato il momento di innaffiare le radici e ripercorrere i principi alla base della comunicazione relazionale. Regole semplici ma efficacissime.

*Marina Magni, project manager per Fabbrica delle Professioni e prima Area manager donna dell’industria della consulenza finanziaria italiana, diventa firma di Advisor. La sua nuova rubrica, pubblicata ogni due settimane, il venerdì, intende raccontare gli elementi fondamentali, le regole, di una advisory di successo.

Un consulente finanziario non è un gestore di fondi: innanzitutto deve saper vendere al cliente il processo di consulenza di cui sarà protagonista. E naturalmente lo può fare in maniera alta, efficace e rispettosa degli interessi propri, del cliente e della mandante. Marina Magni, come già fatto con tanti colleghi, insegnerà a farlo.

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