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I risultati di sviluppo delle Reti di consulenza sono adeguati alle risorse investite?

Il sistema reti, secondo i dati della tabella di fonte Assoreti, si è incrementato del 4% passando da 22.951 consulenti a 23.871 in un anno che ha visto tutti i mesi dati di raccolta record.

reti di consulenza 2

Questo risultato è al netto delle uscite, alcune per il passaggio ad altra rete ed altre per abbandono dell’attività per varie cause.

Ciò vuol dire che le persone inserite sono certamente di più, quindi il costo di ingaggio che, mediamente è intorno al 2% delle masse trasferite, ipotizzando portafogli medi di 10 milioni è superiore a 184 milioni di media per azienda (dato calcolato su 920 inserimenti) a fronte di una raccolta di 9,2 miliardi.

Non voglio commentare l’aspetto economico di tale risultato ma voglio fare alcune considerazioni sull’efficacia del processo di recruiting.

Immaginando uno span of control di 1 a 10 (dieci coordinati per manager) possiamo dire che ci sono circa 2.295 manager impegnati nell’attività di acquisizione oltre a società di head hunting, manager recruiter, assistenti e segretarie. Ritengo ragionevole pensare a 3.000 persone impegnate nel processo.

Ciò significa che il rapporto inseriti rispetto ad addetti è 0,30. Se anche fosse il doppio, volendo considerare le uscite compensate, parliamo di nemmeno un inserimento a testa. Ne deduco che in questi processi qualcosa non giri nel modo giusto.

Quale tra queste cause vi sembra la più diffusa?

  • Si fanno pochi colloqui perché non c’è una ricerca mirata da parte degli attori in campo
  • I colloqui non sono centrati sulle persone ma sull’offerta
  • Si perdono le fila dei contatti dopo i primi incontri
  • Chi fa il primo colloquio parla troppo e non da spazio sufficiente al candidato per raccontarsi
  • I feedback al candidato non sono in linea con le sue aspettative
  • Non viene rappresentato un progetto professionale coinvolgente
  • Le persone che fanno i colloqui non sono adeguatamente formate

Nell’attività che svolgo mi viene spesso rappresentata da candidati bancari una modalità di colloquio centrata sul brand, sulla facilità di trasferimento della clientela, sull’ingaggio, con poca attenzione alle paure che cambiare status procura.

Credo che i numeri che abbiamo visto meritino un’attenta riflessione sia sul metodo che sui contenuti dei colloqui per non avere dubbi che il tempo speso da 3.000 persone e gli investimenti sostenuti dalle aziende valgano i risultati ottenuti.

In un mondo così profondamente cambiato dove l’insicurezza pervade il nostro futuro, per attrarre nuovi colleghi non basta avere un brand importante, una buona offerta di ingaggio, ottimi prodotti, Serve soprattutto la capacità di far immaginare un progetto di vita motivante e professionalmente gratificante con tanta concretezza e senza false illusioni.

Chiedi a Fabbrica delle Professioni un percorso formativo su come essere più efficaci sull’ingaggio di nuove risorse scrivendo una mail a fabbricadelleprofessioni@gmail.com

Articolo a cura di Marina Magni 

consulenti finanziari

Quale futuro per i giovani consulenti finanziari ?

Il Consulente Finanziario sta vivendo un meritato momento di notorietà e lo si evince dagli incrementi nella raccolta del risparmio gestito. In questo scenario nel quale l’età media degli iscritti all’Albo ha superato abbondantemente i 50 anni.

Ed i giovani? Stentano ad affermarsi ed i loro portafogli non sono in linea con le medie della categoria. E le Aziende? Alcune cominciano a revocare il mandato ai Consulenti Finanziari che detengono piccoli portafogli. La stragrande maggioranza di questi sono giovani!

Perché, invece, non investire sulle nuove leve?

Perché non creare percorsi di formazione che prevedano, oltre all’apprendimento di nozione tecniche, la formazione di nuovi “Imprenditori” della Consulenza Finanziaria?

La scarsa raccolta da parte dei giovani Consulenti non dipende certo dalla non dimestichezza con la tecnologia, oggi indispensabile, e neanche dalla non competenza di nozioni tecniche. Di conseguenza le aree nelle quali dovrebbero essere supportati sono da ricercare nel campo dei comportamenti e della relazione.

Fabbrica Delle Professioni nasce proprio con l’obiettivo di erogare formazione basata sul “fare concretamente”.

Consulenti finanziari e dimensioni del portafoglio: è solo selezione naturale

AvatarDI NICOLA RONCHETTI2 SETTEMBRE 2020 | 10:16

Le reti dei consulenti finanziari stanno vivendo un momento magico grazie ai tre principali punti forza insiti nel loro modello di servizio.

  1. Proattività dei professionisti.
  2. Digitalizzazione.
  3. Consolidata capacità di operare fuori sede.

Il portafoglio medio dei consulenti finanziari è più che raddoppiato negli ultimi quindici anni (da 10 a 25 milioni), il patrimonio complessivo gestito dalle reti è cresciuto del 250%, il numero dei clienti è passato dal’8% al 15% dei risparmiatori italiani.

Tuttavia, il numero dei consulenti finanziari con mandato attivo conferito da una rete di consulenti finanziari è sostanzialmente stabile o addirittura in leggera contrazione. Tutto ciò significa due cose: la professione del consulente finanziario non si improvvisa, richiede tempo e preparazione; i professionisti con portafogli sotto la media faticano, più che in passato, a sopravvivere.

Alcune reti mettono a disposizione dei propri consulenti finanziari un’offerta che spazia dai mutui, ai prodotti assicurativi, al credito al consumo fino ai servizi di consulenza immobiliare e patrimoniale, che certamente rappresentano un’ulteriore fonte provigionale.

Tuttavia la professione del consulenti finanziari è ancora oggi prevalentemente associata alla gestione del risparmio e degli investimenti.

Consulenti finanziari e selezione naturale

Le mandanti hanno iniziato, chi prima chi dopo, una vera e propria selezione dei consulenti finanziari, revocando il mandato ai professionisti con portafogli sotto la media e poco dinamici.

Questo processo è ormai assodato nelle reti più grandi e affermate sul mercato, mentre le reti di più recente costituzione, che devono ancora crescere, paiono più clementi.

Tutto ciò si traduce in una selezione mediamente mirata ai consulenti finanziari con portafogli superiori alla media e in misura marginale verso i professionisti con portafogli minori a meno che non siano associati ai (pochissimi) giovani di belle speranze.

I clienti migliori

Anche in tema delle riassegnazioni, ovverosia riallocazione dei portafogli dei consulenti finanziari che lasciano la professione, ad aggiudicarsi i migliori clienti sono molto spesso i professionisti più capaci e intraprendenti.

Inoltre la qualità del portafoglio clienti è spesso correlata alla sua dimensione, ovverossia a piccoli portafogli sono associati tanti clienti di piccole o medie dimensioni (mass market o lower affluent). Il profilo dei clienti spiega in buona parte la concentrazione dei portafogli.

È indubbio che i consulenti finanziari più preparati e proattivi attraggano clienti private e, in qualche caso, Hnwi. Questi clienti, certamente più esigenti, consentono evidenti economie di scala, mediamente la gestione di un cliente private equivale alla gestione di cinque clienti affluent. Oggi i clienti di fascia alta costituiscono il 30% dei portafogli dei consulenti finanziari.

Combinato disposto

Il combinato disposto della maggior preparazione richiesta, di clienti più esigenti e più patrimonializzati uniti a margini ridotti produce una selezione naturale che espelle i consulenti dotati di minor intraprendenza e portafogli più contenuti.

Diventa quindi sempre più rilevante per il consulente finanziario selezionare una mandante che sia in grado di offrire una piattaforma digitale all’avanguardia e un’offerta di servizi, prodotti e partner terzi più ampia e dinamica possibile.

Risparmio di tempo

Ciò consente ai consulenti finanziari di gestire i clienti meno esigenti e patrimonializzati con minor impiego di tempo, dedicando viceversa maggior attenzione allo sviluppo dei clienti a più elevato potenziale.

Il 34% dei consulenti finanziari ipotizza che nei prossimi 5 anni non lavorerà più per l’attuale mandante (fonte: Finer® CF Explorer, n.d.r.), circa un terzo di costoro immagina di lasciare la professione, il vero quesito è: quanti di questi lo fanno volontariamente?

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Come generare fiducia nella consulenza finanziaria?

We Welth, 8 gennaio 2020, Giovanni Sebastiano Cozza:

Per essere considerato e ricercato dal cliente, il consulente ideale deve lavorare su due aspetti: quello tecnico e quello relazionale. Ecco come deve comportarsi il professionista per instaurare un rapporto duraturo con la clientela

Da una ricerca del 2017* risulta che il risparmiatore spesso preferisce tenere i propri capitali disinvestiti. Le motivazioni che lo tengono lontano dal mercato finanziario sono: scarse conoscenze in ambito finanziario, pregresse e negative esperienze di investimento, oppure mancanza di fiducia verso il sistema e le istituzioni.

Eppure le persone da sole difficilmente riescono a gestire in modo efficiente le proprie scelte di investimento. Le fonti da cui il risparmiatore riceve spunti per indirizzare le sue decisioni finanziarie sono varie. Coloro che hanno una bassa alfabetizzazione fanno affidamento su famiglia e amici.

Altri possono subire influenze da campagne pubblicitarie o dai media. Ma una tra le più importanti fonti da cui il risparmiatore può farsi guidare è proprio il consulente finanziario.

Vediamo quali sono gli aspetti caratteriali che prevalgono nelle persone che si affidano a un consulente per la gestione del patrimonio:

  • la responsabilità (si preferisce rischiare meno);
  • aspetti relazionali (si ricerca un rapporto fiduciario e più empatico)
  • L’estroversione e l’apertura al cambiamento sono tratti caratteriali poco presenti nei clienti.
  • Riguardo alla stabilità emotivai clienti sono spesso ansiosi nel 50% dei casi.

Quali caratteristiche dovrebbe avere il consulente ideale? Dalla ricerca emerge che i clienti ritengono ugualmente importante sia la possibilità di parlare con il proprio consulente del patrimonio, sia la possibilità di trattare temi diversi (attenzione alla relazione). Interessante è anche notare come i risparmiatori siano convinti dell’importanza di instaurare un rapporto duraturo con il consulente.

Appare chiaro da questa ricerca che, per essere considerato dal cliente, il consulente ideale deve lavorare su due assi: quello tecnico e quello relazionale. Se riuscirà a ben gestire la relazione sia per i contenuti tecnici sia per i rapporti umani instaurati avrà fatto centro. Infatti il cliente desiderando un rapporto duraturo, non vorrà più separarsi dal suo consulente.

Riguardo la responsabilità è opportuno fare domande aperte influenzate e non chiuse (quelle che iniziano con un verbo), finalizzate a sondare qual è il suo livello di rischio in relazione alla sua situazione personale familiare e lavorativa.

I benefici dell’approccio empatico nella consulenza finanziaria

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Più indagheremo in questa direzione e più saremo percepiti come consulenti competenti e che si prendono cura in modo responsabile del futuro del cliente. Ecco un esempio: “Come mette in relazione la sicurezza degli investimenti con il fattore tempo, se traguarda i prossimi anni lavorativi?”.

Tenuto conto del fatto che l’estroversione e l’apertura al cambiamento non fanno parte della caratteristica fondamentale dei clienti tipici, dovremmo utilizzare un approccio molto empatico. Per mostrare empatia è molto efficace: parlare con calma, non mettere fretta, non usare toni entusiastici, non presentare scenari che possano generare preoccupazione, cambiamenti o incertezze.

Riflettendo sulle informazioni che mi ha dato e sulla sua situazione personale (lavorativa e familiare) ho cercato di mettermi nei suoi panni e mi sono immaginato una tipologia di prodotti con queste caratteristiche A, B, C. Ne ho individuati un paio. Quale tra questi è quello che corrisponde meglio alle sue aspettative?”.

Visto che la stabilità emotiva è poco frequente tra i clienti (frequente ansia), dovremmo fare domande finalizzate a capire quali sono gli elementi che possono ridurre la sua preoccupazione e la sua ansia. Anche e soprattutto se non è stata esplicitata apertamente: “Quali tra le soluzioni che le ho esposto le genera meno preoccupazioni sul futuro?  Quali tra le soluzioni che le ho  esposto le trasmette maggiore tranquillità sui suoi investimenti?”.

Se il consulente avrà avuto la pazienza di toccare tutti questi aspetti, con tatto e con le giuste domande aperte (neutre o influenzate) avrà fatto il suo meglio per trasmettere e generare fiducia nella consulenza finanziaria e ovviamente in lui.”

Porre le domande giuste al momento giusto rappresenta un’arte della comunicazione. Per instaurare una efficace e solida relazione con i clienti è necessario apprendere questa arte.

Fabbrica Delle Professioni, vista la pluriennale esperienza di pratica sul campo dei suoi Formatori, può aiutare i Consulenti ad implementare questa specifica attività.

donazione

La donazione è uno strumento di pianificazione patrimoniale?

Programmare il passaggio generazionale di imprese o di patrimoni significativi richiede tempo, riflessione e analisi. Il nostro ordinamento offre molteplici strumenti giuridici. In questo contesto, la donazione non sembrerebbe essere lo strumento nel complesso più efficiente per questa attività.

La pianificazione del passaggio generazionale è una problematica alla quale di solito viene prestata poca attenzione e, quando ci si pensa, usualmente viene affrontata ricorrendo a due strumenti “tradizionali”, il testamento e la donazione.

La donazione, in particolare, viene vista come una mera anticipazione di ciò che naturalmente avverrà al momento della morte e si dona ai discendenti nell’assunto che la successione degli eventi sarà quella “fisiologica”, con la premorienza dei genitori rispetto ai figli.

Le ragioni principali per cui si pone in essere una donazione sono, di regola, beneficiare del favorevole regime impositivo attualmente in essere, nel timore che in futuro possa diventare più gravoso, e/o ricompensare e stimolare la partecipazione attiva dei propri discendenti alla vita societaria, nel caso di impresa di famiglia.

Le implicazioni negative della donazione

Quando si ricorre all’istituto della donazione, tuttavia, non si riflette adeguatamente sulle implicazioni negative che esso comporta e sulla, purtroppo, incertezza degli eventi della vita.

Tra gli aspetti negativi della donazione si evidenzia che:

  • essa comporta una spoliazione definitiva del donante, di norma non revocabile salvo i casi di sopravvenuta nascita di un figlio o di ingratitudine;
  • espone il patrimonio donato al rischio di aggressione non solo da parte dei creditori del donante (che possono esercitare l’azione revocatoria) ma anche da parte dei creditori del donatario, ad esempio per azioni di responsabilità civile o altro titolo;
  • è soggetta ad azione di riduzione da parte di eventuali legittimari lesi nella loro spettanza ereditaria, tra i quali rientra anche l’eventuale nuovo coniuge sposato dopo avere effettuato la donazione;
  • nel caso di donazione di immobili pone un grave vincolo ventennale alla loro circolazione.

I casi più gravi

Ancora più gravi possono essere le conseguenze per il caso in cui gli eventi della vita vadano difformemente da come ci si aspetta. Due casi, tratti dall’esperienza professionale, possono chiarire come talvolta la donazione ai figli possa tradursi in una scelta sciagurata.

Il primo caso è quello in cui un soggetto, con un divorzio difficile alle spalle e un unico figlio trentenne avuto da tale matrimonio cessato, aveva deciso di donare allo stesso una parte rilevante dei propri beni (taluni immobili di famiglia con un alto valore affettivo e le quote della società di famiglia).

Il figlio, non sposato e senza discendenza, purtroppo premuore in un incidente d’auto e ne consegue un quadro ben lontano da quella che era la volontà del genitore che inizialmente aveva effettuato la donazione.

Eredi legittimari del figlio, nella situazione delineata, sono infatti entrambi i suoi genitori, quindi anche l’ex coniuge del donante, con una quota – in assenza di testamento – del cinquanta per cento ciascuno. Non è difficile immaginare quali siano state le ripercussioni di tale premorienza, sia dal punto di vista emotivo che da quello gestionale, stante la comproprietà sui beni che si è venuta a creare tra gli ex coniugi.

Un secondo caso in cui l’istituto della donazione si è rivelato uno strumento fallimentare riguarda un imprenditore, titolare della totalità delle azioni della società di famiglia (di elevato valore, sia economico, sia, per il soggetto in questione, sentimentale), non più coniugato e con due figli che partecipavano attivamente alla vita imprenditoriale.

L’imprenditore aveva deciso di donare la nuda proprietà delle azioni in parti uguali a ciascun figlio, come riconoscenza del lavoro dagli stessi quotidianamente svolto e in ottica di passaggio generazionale.

In tale situazione gli effetti che si sarebbero avuti in ipotesi di apertura della successione del genitore sarebbero stati gli stessi posti in essere con tale donazione, poiché in caso di decesso di un soggetto non coniugato e con due figli la quota di legittima spettante a ciascuno di essi, in assenza di testamento, è pari al cinquanta per cento; infatti l’imprenditore aveva donato ritenendo solamente di anticipare un qualcosa che si sarebbe realizzato in ogni caso.

Uno dei due figli, coniugato e senza discendenza, tuttavia premuore senza lasciare testamento e i due terzi del suo patrimonio (quindi anche due terzi delle azioni che aveva ricevuto in donazione) vanno quindi al coniuge, erede legittimario, che dopo qualche anno si risposa.

Il 33,3% del capitale sociale della società di famiglia diventa così di proprietà di terzi, non legati da vincolo di sangue o di coniugio con l’imprenditore che, oltre a dover affrontare il dolore per la perdita di un figlio, è costretto a vedere un terzo di quella che era la sua società finire ad estranei, mentre se tale donazione non fosse stata posta in essere tutte le azioni sarebbero state ereditate dall’altro figlio.

La donazione è quindi uno strumento nel complesso poco efficiente per il passaggio generazionale, della quale normalmente non si colgono i (molti) possibili aspetti negativi.

Il nostro ordinamento offre una serie di strumenti giuridici che, se adeguatamente utilizzati, consentono di giungere a soluzioni pienamente soddisfacenti e di evitare sgradite conseguenze, ma programmare il passaggio generazionale di imprese o di patrimoni significativi è un’attività che richiede tempo, riflessione e analisi ed è quindi importante porre in essere tale pianificazione per tempo.”

Andrea Vasapolli –  We Wealth.

Il modello alternativo di Fabbrica delle Professioni

FDP propone un modello diverso, che contempla certamente le necessarie competenze, ma che prevede un approccio interdisciplinare ed alleanze con studi di professionisti nell’ambito della tutela del patrimonio. Un approccio nel quale i ruoli siano chiaramente distinti e che comporti la creazione di valore immediatamente percepita dal cliente.

Riteniamo che il cliente percepirebbe un grande valore se tramite il CF potesse avere, gratuitamente, una bozza di progetto patrimoniale stilato da professionisti “convenzionati”.

Compito del consulente finanzario dovrebbe essere quello di motivare al cliente l’utilità di un approccio interdisciplinare. Questa modalità evita che il consulente finanziario appaia come un tuttologo e quindi poco credibile.

Un evento formativo finalizzato a questo scopo può essere progettato in modalità di aula tradizionale affrontando i seguenti contenuti:

  • Tutela patrimoniale: le conoscenze essenziali che deve avere il CF
  • Gli aspetti di natura psicologica legati al patrimonio:
    • Famiglia e patrimonio, l’energia del denaro
    • La forza del dominus e le conseguenze sulla successione del patrimonio (cosa accade agli equilibri famigliari quando viene a mancare il dominus)
    • La strategia famigliare: come definirla con l’ascolto attivo e la maieutica (ruolo del Cf)
    • Il progetto famigliare: come mantenere il patrimonio nel tempo garantendo la serenità della famiglia (ruolo del professionista che supporta il consulente)
    • L’allocazione del patrimonio mobiliare in funzione del progetto famigliare (ruolo del CF)
    • Il monitoraggio del progetto famigliare in funzione degli eventi in capo alla famiglia e delle normative, sentenze, leggi (ruolo del professionista che supporta il Cf)
    • Il monitoraggio del patrimonio mobiliare in funzione del monitoraggio del progetto famigliare (ruolo del CF)

Private banking, come recuperare margini

Occorrerà migliorare l’esperienza cliente e l’efficacia del front office, sfruttando le potenzialità offerte dal digitale e realizzando percorsi di formazione e incentivazione dei private banker, con l’obiettivo di migliorare le performance commerciali. In secondo luogo, sarà necessario adottare un modello operativo di nuova generazione, che implementi soluzioni digitali e di advanced analytics in grado di rendere i processi aziendali più efficienti ed efficaci. Infine, soprattutto le banche di medie e piccole dimensioni – i cui margini sono già stati messi sotto pressione negli ultimi anni – dovranno trarre beneficio dal consolidamento dell’industria e dall’opportunità di condividere alcuni costi attraverso la creazione o la partecipazione a servizi non core.”

Fonte: Bluerating  – Luigi Dell’Olio.

Per realizzare percorsi di formazione che non raccontino le solite cose  in un campo nuovo ma delicato come il Private Banking occorre avvalersi di Formatori aggiornati, oltre che tecnicamente e nell’utilizzo di software specialistici, sulle più moderne tecniche di relazione in modo da poter trasferire alla clientela il valore aggiunto di un servizio altamente personalizzato.

Fabbrica Delle Professioni può costruire innovativi percorsi formativi che prevedano di affiancare al Consulente Finanziario altre essenziali figure professionali.

 

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