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Immobiliare: “Lo scenario hard di 2 mesi fa ora è quello soft”

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Peggiorano le condizioni del mercato immobiliare italiano. I dati illustrati da Nomisma evidenziano un 1° trimestre molto negativo, con una flessione tra il 10 e il 20% del numero di compravendite, per poi proseguire con un crollo dell’ordine del 50% nei mesi di aprile-maggio.

A differenza di quello che avevamo ipotizzato qualche mese fa, oggi lo scenario del mercato immobiliare è decisamente più fosco: quello che solo due mesi fa era visto come lo scenario hard, oggi è diventato lo scenario soft, con un ulteriore peggioramento sia dello scenario base che del nuovo scenario hard”. Lo ha detto Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma, durante l’evento organizzato da Nomisma e Crif in collaborazione con Unicredit Subito Casa dal titolo “Fuori tutti, la voce alle famiglie. Vivere, abitare, investire: l’oltre del coronavirus.

Il Covid ha infatti cambiato il mondo e ha determinato un impatto molto rilevante che ora si può solo stimare e di cui si possono vedere ora solo i primi effetti.

Il primo trimestre ha fatto segnare un brusco arretramento del Pil, sia a livello nazionale che europeo, e un crollo immediato del clima di fiducia. “Purtroppo è solo l’inizio di una dinamica che tenderà ad aggravarsi nei mesi successivi. C’è una prospettiva di inflazione che diventerà di deflazione, nonostante l’immissione di una quantità rilevante di moneta”, ha spiegato Dondi.

Se poi ci si focalizza sull’immobiliare, l’andamento del settore e le previsioni sono ancora più preoccupanti. “In termini di compravendite residenziali, si passerà da quota 604mila a 463 o 494 a seconda che si voglia essere più o meno ottimista – ha dichiarato Dondi .

La differenza sarà sull’anno prossimo: se, infatti, la componente di investimento dovesse ritornare verso il mercato con un atteggiamento diverso si potrebbe determinare una stabilizzazione sui livelli di quest’anno; se invece questo ritorno non dovesse esserci, il 2021 potrebbe dar vita a un’ulteriore flessione.

I dati che abbiamo – ha poi aggiunto – ci parlano di un 1° trimestre molto negativo, con una flessione compresa tra il 10 e il 20%. E non è tutto. I dati di aprile-maggio, ci raccontano di una flessione del numero di compravendite dell’ordine del 50%”. Una cosa è certa: molta parte della flessione si realizzerà già nel primo semestre, senza possibilità che nel secondo ci siano spazi di recupero.

Qual è il clima di fiducia delle famiglie italiane?

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Emerge un livello strutturalmente basso, ma che non peggiora; come se ci fosse solo una percezione parziale delle conseguenze di quello che abbiamo vissuto, e che vivremo, nelle opinioni delle famiglie riguardo al futuro e alla propria condizione personale.

Dall’indagine Nomisma 2020 sulle famiglie italiane è emerso infatti che, in un contesto così incerto e complesso come quello attuale, la propensione all’acquisto di un’abitazione si mantiene apparentemente su livelli simili rispetto a quelli dello scorso anno, con circa 2,5 milioni di famiglie interessate all’acquisto.

Questi dati raccolti vanno però interpretati alla luce di una “realtà aumentata” che incrocia la percezione del futuro con le condizioni reddituali delle famiglie. Alla luce di questo, infatti, le famiglie intenzionate all’acquisto di un immobile si riducono così a 625.900: un quarto di quelle che lo desideravano.

Secondo la ricerca cresce poi la domanda potenziale delle famiglie che si stanno già muovendo per cercare casa (dall’1,9 al 2,1%), ma si tratta di un incremento dovuto probabilmente al fatto che queste famiglie avevano deciso di comprare casa già prima della pandemia, ma in questi mesi non erano riuscite a farlo a causa del lockdown. Le motivazioni? Il 74% degli interpellati vorrebbe acquistare per avere una prima casa o per sostituire quella che ha già.

E il mercato degli affitti?

La situazione non è molto diversa se si passa ad analizzare il mercato degli affitti. Secondo i dati raccolti da Nomisma le famiglie interessate all’affitto sarebbero 2.008.300, ma anche in questo caso, circoscrivendo l’analisi ai soli nuclei che manifestano un’effettiva capacità reddituale, la domanda effettiva tenderà a ridursi a 730.300 famiglie.

Considerando le motivazioni che sorreggono il mercato dell’affitto emerge come il 54,4% delle famiglie – erano il 58% lo scorso anno – consideri la locazione un’opzione alternativa a causa della mancanza di risorse economiche sufficienti per poter accedere al mercato della compravendita.

Complessivamente è emerso un peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie. La quota di quelle che negli ultimi 12 mesi ha accumulato ritardi nel pagamento dell’affitto è passata infatti dal 9,6% del pre-covid-19 al 24% durante le misure di contenimento.

Per effetto del lockdown, quindi, una famiglia su quattro ha mostrato difficoltà nel pagamento dell’affitto. Un’evidenza che trova conferma anche nelle aspettative per i prossimi 12 mesi: più del 40% delle famiglie prevede di avere difficoltà a rispettare il pagamento del canone di affitto.”

Stefania Pescarmona

Le previsioni sul mercato immobiliare

Le previsioni riguardanti il mercato immobiliare per il secondo semestre 2020 ed il primo 2021 non sono incoraggianti. E gli Agenti Immobiliari come possono affrontare e fronteggiare la situazione? Ragionare con i clienti del mercato in generale? Fare previsioni sullo stesso con il rischio di essere smentiti in un senso o in un altro? Minimizzare? O????

I clienti, prevalentemente, sono famiglie e, quindi, persone!

Dedicare attenzione alle persone può essere la chiave per conquistarle. Creare una “relazione” la modalità per farlo! Parlare dei loro progetti individuali e familiari, spostare l’attenzione sull’essere umano più che sull’immobile.

Capire quale sia l’immobile dei loro sogni e perché. Parlare al “cuore” della clientela oltre che supportarla dal punto di vista tecnico. Non sarà più sufficiente agli Agenti Immobiliari fornire planimetrie e visure catastali ancorché importante. La via maestra contro la crisi sarà quella di far realizzare ai clienti il loro sogno!

Fabbrica Delle Professioni può costruire percorsi formativi personalizzati sulle singole esigenze.

Conciliare creatività e tecniche nella formazione: mission impossible?

 E’ fondamentale saper unire lo sviluppo creativo e un ambiente di lavoro sostenibile dal punto di vista emotivo e relazionale

di Chiara Paolino *

(REUTERS)
(REUTERS)

4′ di lettura

È ormai da un almeno un decennio che le riviste più importanti nel settore della formazione incoraggiano i manager e la funzione HR allo sviluppo di competenze nell’ambito della creatività e dell’innovazione. A questo proposito, diversi studi hanno suggerito l’importanza di adottare parallelamente metodologie di insegnamento e apprendimento che possano favorire non solo la partecipazione del discente, ma anche una intenzione nell’organizzare il suo coinvolgimento valoriale ed emotivo all’esperienza formativa.

In questa prospettiva si è illustrata l’importanza, nella business education, di utilizzare approcci pedagogici provenienti da diverse discipline (non solo quella manageriale, ma anche quelle umanistiche) e di riconsiderare modalità, come quelle che implicano il coinvolgimento dell’arte e dei suoi codici, per creare esperienze di formazione in grado di costruire un senso di accoglienza del lavoratore, come persona, e di permettere l’espressione della sua unicità e pensiero non convenzionale.

La tendenza nell’ambito della formazione non va però solo in questa direzione di apertura. Un recente articolo apparso su Harvard Business Review (Ottobre, 2019) ha messo in luce, citando una ricerca di McKinsey, che il 75% di 1.500 manager intervistati da 50 organizzazioni non sono soddisfatti delle attività proposte dalla loro funzione di Learning&Development, il 70% dei dipendenti riporta di non aver avuto occasione di maturare le competenze necessarie allo svolgimento del proprio lavoro; solo il 12% dei dipendenti ha occasione di applicare sul lavoro le abilità apprese durante la formazione.

La conclusione dell’articolo va nella direzione opposta a quella prima citata e professa la necessità, per migliorare questi indicatori e non sprecare il budget della formazione, di tornare a concentrarsi su unità di training più piccole (intendendo su attività di formazione legate a competenze più elementari in termini di quantità e complessità di contenuto) e più direttamente legate allo svolgimento del proprio lavoro, e quindi immediatamente più applicabili.

D’altro canto, un’indagine condotta da GP Strategies nel 2019 su circa 300 lavoratori ha rilevato che fra le tre skill che le persone ritengono di dover sviluppare in futuro ci sono la capacità di negoziare (46%), di gestire conversazioni difficili sul posto di lavoro (24%) e di design thinking (24%), skill che vanno tutte oltre la mera esecuzione del proprio lavoro, e che si focalizzano sulla capacità di gestire le relazioni e di praticare empatia e innovazione.

A questo si aggiunga che, nonostante la digitalizzazione dei servizi formativi, la modalità di apprendimento ancora preferita è l’esperienza dell’aula, del gruppo di apprendimento guidato dal docente. Come dobbiamo, dunque, guardare a queste due tendenze? Apertura, focalizzazione sulla persona, sul suo mindset, anche emotivo e sensoriale, per la coltivazione di skill elevate come la creatività e l’innovazione da un lato, e ritorno a una formazione più strettamente legata al job, fatta di miglioramenti incrementali e piccole sperimentazioni dall’altro?

Fortunatamente può non trattarsi di un conflitto nell’organizzazione della formazione, e non perché nei due casi, come si potrebbe pensare, stiamo pensando a modalità formative dedicate a popolazioni organizzative diverse (quella più aperta e coinvolgente per i manager e quella più tecnica per la popolazione operativa). È ormai assodato che la formazione tecnica e on the job sia parte essenziale del percorso di crescita di tutti e che costituisca un presupposto fondamentale per il benessere e le opportunità di crescita della persona, qualsiasi sia il livello che ricopre. Si pensi a quanto del gender gap può essere spiegato alla luce della mancata formazione tecnica della popolazione femminile sulle competenze legate alla comprensione del business, piuttosto che alla mancanza di assertività.

Il conflitto tra queste due modalità formative all’interno della stessa organizzazione non dovrebbe esistere se si tenesse a mente che è la pratica della tecnica che consente poi una così piena comprensione del ruolo e del task, da renderci in grado di proporre nuove soluzioni, di essere creativi e presenti appieno sul posto di lavoro con tutta la nostra persona. Allo stesso modo la formazione esperienziale tesa alla promozione di una visione piuttosto che di un’abilità specifica nelle persone, improntata all’accoglienza del lavoratore come persona che vive l’esperienza di lavoro anche con le sue emozioni, è un mezzo fondamentale per promuovere idee innovative, nuove modalità di lavoro operativo e per poi trovare le energie per applicarle operativamente sui propri compiti lavorativi.

La convergenza tra i due approcci e quindi l’efficace sviluppo della capacità di pensare a modi nuovi di svolgere il proprio lavoro può risiedere nel renderli entrambi sistematici, parte integrante della strategia di formazione. Passare dall’evento formativo (sia esso tecnico o più valoriale e di apertura) a una integrazione di questi programmi nella strategia HR e a una loro comunicazione articolata. A questo proposito, se un ritorno alla formazione più tecnica, all’apprendimento on the job sembra illustrare in modo intuitivo i suoi benefici, è questo anche il momento di riflettere su tutti i casi che ci informano di come metodi formativi più direttamente legati alla creatività, come quelli basati sul coinvolgimento dell’arte e degli artisti nella formazione, possano nel tempo portare a migliorare la capacità di riflessione dei lavoratori sul proprio task, a proporre idee per innovarlo e, al contempo, a costruire un senso più articolato e complesso della propria esperienza di lavoro, in relazione ai propri colleghi, al contenuto della propria mansione e all’organizzazione.

Tecnica e apertura possono convivere nella strategia di formazione. Lo sviluppo della creatività e la creazione di un ambiente di lavoro sostenibile dal punto di vista emotivo e relazionale possono essere il loro comun denominatore.

Anche il Manager, a qualunque settore esso appartenga, sarà costretto a sviluppare nuove competenze nell’ambito della creatività e dell’innovazione. Dovrà passare da HR Manager a Learning and Development Manager. Sviluppare, quindi, la capacità di individuare nuove modalità per svolgere in pieno il proprio compito.
Fabbrica Delle Professioni può “costruire su misura” percorsi formativi che tengano conto di questo inevitabile processo di cambiamento.

Da Consulenti a Mentor

 

Affinchè il Consulente possa fare il passo che lo porti “da Consulente a Mentor” deve sviluppare grandissime capacità relazionali. Nel caso della tutela dei patrimoni e dei passaggi generazionali il Consulente deve essere colui che interfaccia la propria clientela con i Professionisti esperti del settore. Il suo compito non è proporre soluzioni, che comunque deve conoscere, ma selezionare Partners  per ogni singola esigenza ed instaurare con la propria clientela un rapporto fiduciario che lo ponga sullo stesso piano dei Professionisti che propone.E’ indispensabile che il Consulente abbia la capacità di fare Networking.

Fabbrica Delle Professioni può strutturare percorsi formativi in collaborazione con Professionisti e che consentano al Consulente di essere il Regista dell’operazione e non di trovarsi in posizione di subordine nei confronti del propri clienti.

Digital Bank

“Introdurre la tecnologia insomma non basta. Nei prossimi anni le banche dovranno accompagnare clientela e dipendenti sui nuovi canali attraverso meticolosi percorsi di formazione. Per fare questo serviranno investimenti, ma soprattutto una radicata cultura digitale.” Fabbrica Delle Professioni è il Partner ideale poiché può costruire percorsi specifici e su misura per ogni singola azienda.

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La capacità di ascolto

Sviluppare la capacità di ascolto presuppone una sistematica formazione erogata da trainer specializzati. Qualunque sia la tua professione “Fabbrica Delle Professioni” può creare percorsi formativi che ti consentano di instaurare con i tuoi clienti una relazione proficua ed efficiente.

Qualunque sia la tua professione “Fabbrica Delle Professioni” può creare percorsi formativi che ti consentano di instaurare con i tuoi clienti una relazione proficua ed efficiente.

Costa più la consulenza o la non consulenza?

La Consulenza è un costo? Come viene vissuta dal cliente? L’importanza della relazione con l’investitore per fargli compiere scelte consapevoli e non influenzate dall’emotività. Instaurare la relazione non significa proporre un’asset allocation o il parlare dei mercati, ma del cliente, dei suoi obiettivi di vita e di come pensa di pianificare il suo benessere nel tempo.

Ma questo presuppone che il Consulente abbia capacità relazionali che valgono molto di più di quelle tecniche al fine di portare il cliente ad un corretto uso della Finanza Comportamentale. Il Prof. Bertelli, nel suo articolo, centra egregiamente il problema.

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