Private banking, come recuperare margini

Occorrerà migliorare l’esperienza cliente e l’efficacia del front office, sfruttando le potenzialità offerte dal digitale e realizzando percorsi di formazione e incentivazione dei private banker, con l’obiettivo di migliorare le performance commerciali. In secondo luogo, sarà necessario adottare un modello operativo di nuova generazione, che implementi soluzioni digitali e di advanced analytics in grado di rendere i processi aziendali più efficienti ed efficaci. Infine, soprattutto le banche di medie e piccole dimensioni – i cui margini sono già stati messi sotto pressione negli ultimi anni – dovranno trarre beneficio dal consolidamento dell’industria e dall’opportunità di condividere alcuni costi attraverso la creazione o la partecipazione a servizi non core.”

Fonte: Bluerating  – Luigi Dell’Olio.

Per realizzare percorsi di formazione che non raccontino le solite cose  in un campo nuovo ma delicato come il Private Banking occorre avvalersi di Formatori aggiornati, oltre che tecnicamente e nell’utilizzo di software specialistici, sulle più moderne tecniche di relazione in modo da poter trasferire alla clientela il valore aggiunto di un servizio altamente personalizzato.

Fabbrica Delle Professioni può costruire innovativi percorsi formativi che prevedano di affiancare al Consulente Finanziario altre essenziali figure professionali.

 

Consulenza? È tutta una questione di chimica

“Le emozioni e i sentimenti non sono una lussuria, sono il modo di comunicare i nostri stati mentali alle altre persone. Ma sono anche una guida per poter prendere decisioni”.

Antonio Damasio, neurologo portoghese che studia il ruolo delle emozioni nei meccanismi razionali, ha riconosciuto che l’uomo, tra tutti gli esseri viventi, ha perfezionato la propria coscienza sviluppandola non solo attraverso il ragionamento logico ma anche con l’apporto della memoria, della creatività e delle immagini.

Le immagini, inoltre, sono riscoperte come il frutto di una reazione sensoriale (fisica) ad uno stimolo concettuale (psicologico): sono la rappresentazione simbolica che elaboriamo per dare forma tangibile e fruibile ad una nozione appresa, ad un ricordo, ad un’esperienza o, più semplicemente, per materializzare il flusso dei nostri pensieri.

La valutazione delle alternative in situazioni decisionali

Per Damasio, le emozioni non sono che il contrappunto fisico di precisi processi cerebrali, innescati dall’acquisizione o dalla rievocazione di un’immagine mentale. Per di più, l’impronta emotiva associata ad una determinata immagine diventerà un vero e proprio “marcatore somatico”, che indurrà analoghe reazioni in contesti simili, condizionando l’identificazione e l’elaborazione degli eventi.
In una situazione decisionale, la risposta sarà dettata dalle reazioni psico-fisiche scaturite dalla valutazione di tutte le alternative disponibili: gli esiti delle prefigurazioni di tutti i potenziali scenari, in cui alcuni richiameranno emozioni più positive e piacevoli di altri, influenzeranno e guideranno l’intero processo di scelta.

Con tali premesse, un operatore/consulente “attento” non potrà che ampliare l’area del proprio intervento.

Intervenire sulle convinzioni “gabbia/limitanti”

Inoltre, lungi dal voler ridurre tutto ai soli meccanismi biologici, Damasio illustra chiaramente come i processi cognitivi e decisionali siano la sintesi di una complessità di stimoli e processi tanto psicologici quanto fisici, dimostrando che lo sviluppo della coscienza (sensibilità, percezione, memoria, conoscenza) è un continuo divenire e, dunque, è tanto influenzato dal passato quanto condizionabile dal presente e dalle prospettive future.

Tutto questo, per noi, si traduce in una fondamentale presa d’atto: su tutte le convinzioni, anche su quelle c.d. “gabbia/limitanti”, noi possiamo intervenire, trovando un punto d’accesso in una delle diverse fasi (fisiche e/o psicologiche) di tutto il processo.

Imparare a sfruttare le emozioni nelle dinamiche di consulenza

I comportamenti funzionali possono fungere da appoggio nell’equilibrio dei processi: aiutandosi con l’azione dei neurotrasmettitori, infatti, è possibile influenzare il marcatore somatico nell’elaborazione di proposte, domande e obiezioni.
L’adrenalina, ad esempio, è alla base della capacità di attenzione e regola i meccanismi “combatti o fuggi”: se uno scarso apporto determinerà una scarsa attenzione, un’eccessiva stimolazione farà alzare le barriere cognitive, blindando qualsiasi intervento.

Fondamentale, quindi, il ricorso alla dopamina, ovvero il neurotrasmettitore deputato agli stimoli motivazionali e ai sistemi di ricompensa.
Raggiungere e mantenere questo equilibrio continuo, rendendo efficiente il rapporto dopamina-adrenalina (attenzione-scelta-ricompensa), apre il processo cognitivo all’inserimento di nuovi concetti: valorizzarne le immagini attraverso la materializzazione è la chiave per renderli compatibili con il sistema di archetipi del cliente, accettabili e, soprattutto, efficaci e duraturi.

Al fine di favorire le relazioni sociali (consulente/cliente, capo/collaboratore etc.), l’ottimizzazione del rapporto tra adrenalina e dopamina potrà essere gestita e guidata attraverso specifici comportamenti, quelli c.d. “funzionali”, di cui parleremo nel prossimo articolo.

“Le emozioni e i sentimenti non sono una lussuria, sono il modo di comunicare i nostri stati mentali alle altre persone. Ma sono anche una guida per poter prendere decisioni”.

 

Nicola Onorati
Fondatore di “Onorati Solutions”
Socio-partner di “Fabbrica delle Professioni”
Redazione a cura di Giovanni Del Giudice

Centro di gravità permanente? Non nel Wealth Management

Richard Normann, ne “La gestione strategica dei servizi”, specifica l’importanza della materializzazione dei servizi ed è certo che gli strumenti informatici ci riescano benissimo. Tuttavia, sebbene i tools siano potentissimi facilitatori nel ridurre i limiti della fallibilità umana e della razionalità, essi sono anche suscettibili dei bias cognitivi del consulente

Che cosa offro?

Come lo offro?

Come l’ho offerto nel tempo?

Nel potenziamento della competitività si punta sempre su prodotti, servizi, tecnologie e processi, dimenticando spesso un’ultima fondamentale domanda che invece finalizza gli sforzi da compiere:

Come viene percepito ciò che sono e ciò che offro?

Infatti, la sola offerta con il combinato disposto “tecnologico” non va lontano, se non è supportata da tecniche di relazione che massimizzino nel cliente la percezione di organicità e congruenza di tutta la proposta commerciale.
Soltanto riuscendo a trasmettere la pertinenza e l’efficacia dei nostri interventi si potrà attuare un macro-approccio sistemico per far convergere i processi, i servizi e le tecnologie in un piano d’azione che soddisfi bisogni reali e definiti.

Richard Normann, ne “La gestione strategica dei servizi”, specifica l’importanza della materializzazione dei servizi ed è certo ed evidente che gli strumenti informatici ci riescano benissimo.

Tuttavia, se i tools sono potentissimi facilitatori nel ridurre i limiti della fallibilità umana e della razionalità, sono anche suscettibili dei bias cognitivi del consulente.

Inoltre, è bene tenere presente che la tecnologia è una commodity e in quanto tale garantisce un vantaggio competitivo di brevissimo periodo: su quale strumento/servizio e con quale peso strategico è indispensabile investire per non rimanere intrappolati nello spettro d’azione in cui, con risultati effimeri, sopravvive solo “chi spende di più”?

Occorre, nelle strategie aziendali, centralizzare al massimo la figura del consulente, immaginandolo come l’unità base, centrale e “completa” nel suo essere.

 

L’advisor è esso stesso un’azienda? Certamente!

È il micro-cosmo che, al centro tra domanda e offerta, deve posizionarsi sia all’interno di una strategia aziendale che dentro l’universo del cliente, in virtù di tre aree di competenze indispensabili per un nuovo tipo di consulenza:

  • la conoscenza dei servizi/prodotti offerti a cui poter attingere, come un bibliotecario al suo archivio, per fornire il contenuto più congruo alle richieste del cliente;
  • una padronanza degli strumenti tecnologici tale da renderli più friendly e agevolarne il processo di adozione, migliorando la qualità dei risultati e il livello di soddisfazione;
  • nuovi paradigmi di relazione commerciale.

Quindi, così per l’azienda così per il consulente, si dovranno tenere insieme tanto le variabili che influenzano i servizi quanto quelle che originano e alimentano la domanda: il cliente è una pluralità da considerare come un unicum, che vive di patrimoni finanziari e immobiliari ma anche di attività e rischi professionali, di nuclei familiari, di esigenze, dinamiche e così via. Occorre investigare tutto ciò di cui e per cui il cliente vive. Continuamente.

Eppure, sebbene l’innovazione richieda nuovi paradigmi di conoscenza e relazione, si destinano più ore di formazione alle tecnologie e agli adempimenti amministrativi di quanto tempo si dedichi a far crescere le strutture commerciali sul fronte della relazione con il cliente.

Perché, invece, non invertire le priorità negli investimenti e capitalizzare la crescita professionale ampliando e riattualizzando, in chiave commerciale e relazionale, l’orizzonte applicativo delle scuole di pensiero?
Solo ricostruendo i perché profondi delle tecniche di “vendita”, e dunque risalendo all’origine dei processi cognitivi, riusciremo a creare il nostro spazio vitale assumendo una posizione che rimanga competitiva nel tempo.

I percorsi su cui si concentreranno le prossime riflessioni saranno dunque i seguenti:

  • rimodulazione delle tecniche di relazione attraverso i paradigmi delle neuroscienze;
  • definizione di contenuti e processi commerciali atti ad ottimizzare la capacità competitiva dell’azienda.

 

Nicola Onorati
Fondatore di “Onorati Solutions”
Socio-partner di “Fabbrica delle Professioni”
Redazione a cura di Giovanni Del Giudice

Nuova teoria evoluzionistica: chi sopravvive sul mercato?

Se è vero che la variazione crea nuove forme di vita e la selezione preserva quelle che meglio si sono adattate all’ambiente, quale esemplare sopravvive oggi alla “nuova” teoria evoluzionistica? L’egoista o chi si accontenta di trovare il proprio spazio?

Sopravvive chi è più egoista o chi si accontenta di trovare il proprio spazio? Aldilà di tutti i corsi e i discorsi sull’evoluzione umana, la dura legge del più forte vale sempre su tutto, o può esistere un approccio diverso al mondo, alle cose e alle persone?

 

Nuova teoria evoluzionistica

Ne La ragione nelle vicende umane (Bologna, Il Mulino, 1984), Herbert Simon espone, in un saldo confronto con i temi evoluzionistici darwiniani, le sue teorie maturate in ambito comportamentale. Già Darwin, infatti, ritenne opportuno evidenziare le combinazioni di scelte e i meccanismi biologici alla base dei processi evolutivi, sottraendo così le mutazioni genetiche al principio di casualità.

Variazione e selezione: chi crea e chi preserva

La variazione crea nuove forme di vita. La selezione preserva quelle che meglio si sono adattate all’ambiente.

Due, dunque, le vie per sopravvivere:
• la lotta per il possesso dell’ambiente, sviluppando un gene egoista sempre più aggressivo per aumentare le chance di sopravvivenza;
• la ricerca del proprio spazio attraverso l’individuazione di una nicchia libera e la specializzazione per il soddisfacimento di bisogni specifici.

In un mercato in cui i soggetti economici insistono sullo stesso campo per raggiungere gli stessi target, per vincere occorrerà necessariamente diventare il più forte, ma si rimarrà sui gradini più bassi della piramide competitiva.

Come competere sulla piramide?

Nuova teoria evoluzionistica

Ricercando una nuova nicchia ambientale attraverso una strategia lungimirante e scalabile; vale a dire:

  • Abbandonando la “logica” della sola consulenza finanziaria per ergersi ad interlocutore olistico e privilegiato del cliente;
  • Rinnovando la dimensione del rapporto consulente-cliente;
  • Cambiando le tecniche di relazione per riuscire ad entrare nel suo mondo e ampliare la consapevolezza dei propri bisogni;
  • Intervenendo in conseguenza dei limiti della razionalità che consentono all’homo administrativus di scegliere soltanto l’alternativa più soddisfacente nella consapevolezza dei “bias cognitivi”;
  • Facendosi carico realmente della identificazione e della gestione dei bisogni del cliente.

Avete mai analizzato la condizione di un’azienda valutando soltanto i flussi di cassa generati dai titoli di proprietà, senza considerare la situazione patrimoniale, economica e finanziaria complessiva?

Patrimoni mobiliari, immobiliari e professionali, i nuclei familiari e la sfera personale costituiscono l’orizzonte da declinare in ottica programmatica, con una pianificazione temporale che proietti verso nicchie competitive nuove e non ancora presidiate.

Come valorizzare il proprio business

Nuova teoria evoluzionistica

Diventano quindi necessari servizi, tecnologie, processi, competenze e capacità adeguati per l’ottimizzazione valoriale del business.

Insediarsi in una nicchia personalizzata, con nuovi bisogni da esplorare e dunque nuovi paradigmi relazionali, centralizzando la figura del consulente finanziario, implica dunque la necessità di rimodulare le dinamiche di gestione del patrimonio umano aziendale: assessment, politiche di acquisizione, modalità di gestione, strategie e programmi formativi, etc.

Con la comprensione approfondita dei processi cognitivi e decisionali del cliente, grazie a nuove tecniche relazionali e operative che sopperiscano alla razionalità limitata e amplino lo scenario d’azione, il consulente non dovrà acquisire un nuova enciclopedica conoscenza, ma piuttosto coltivare una nuova sensibilità, quale capacità di percepire la complessità dell’universo di bisogni del cliente e coniugarla alla totalità dell’offerta.

La metafora della biblioteca

Si dovrà quindi arricchire il bagaglio conoscitivo, relazionale e operativo articolandolo secondo la metafora della biblioteca: quanto più sarà amplia e diversificata, tanto più potrà offrire al cliente il libro più adatto all’esigenza specifica.

 

 
Nicola Onorati
Fondatore di “Onorati Solutions”
Socio-partner di “Fabbrica delle Professioni”
Redazione a cura di Giovanni Del Giudice

wealth management

Wealth Management: la nuova frontiera della relazione

Mercato del Wealth Management in continua crescita, oggetto di interesse da parte degli intermediari finanziari. Qual è la relazione tra consulenza, tecnologia e neuroscienze?

L’osservazione della rapidissima evoluzione del mercato negli ultimi anni e dei nuovi trend emergenti fra domanda-offerta continua ad offrirci, quotidianamente, interessantissimi spunti di riflessione e approfondimento.

A livello mondiale il mercato del Wealth Management registra una continua crescita, con una conseguente diffusa e forte attenzione da parte degli intermediari.

La risposta di questi ultimi, anche quelli non propriamente e storicamente focalizzati sul target, è stata:

  • il rafforzamento della propria offerta, proponendo nuovi servizi anche in ambito propriamente “patrimoniale”,
  • puntando molto sulla tecnologia con lo sviluppo di nuove piattaforme e nuovi sistemi per la gestione dei processi interni,
  • abbracciando la logica degli advisory tools, dei robot finanziari etc. e, a volte, investendo anche oltre il “buon senso aziendale” nell’acquisizione di portafogli attraverso un recruiting “selvaggio”.

Una delle chiavi di lettura indispensabili per poter scrivere un futuro diverso dal presente che stiamo vivendo ci viene offerta dalle teorie di Herbert Simon (premio Nobel per l’Economia nel 1978 grazie ai suoi studi condotti in ambito di Economia comportamentale) e dagli assunti delle principali Scuole di Pensiero che si sono avvicendate a partire dal Novecento fino ai giorni nostri.

L’osservazione sull’affollamento competitivo sembrerebbe scontata eppure, valutando quanto è stato fatto in questi anni, non è per nulla così. Abbiamo invece assistito ad un’accanita corsa a chi offre il servizio più innovativo, aumentando così il livello di competitività fino a livelli insostenibili, e al pericoloso restringimento dello scenario competitivo che, essendo aggredito da tutti, non sarà mai abbastanza ampio da riuscire a ripagare gli sforzi compiuti: sforzi, dunque, del tutto vani!

Wealth Management: orizzonti di lungo periodo

Eppure l’aspetto più distruttivo di questo processo è l’introduzione di un elemento di sopravvivenza darwiniana affidato ad un vantaggio competitivo del tutto effimero e di brevissima durata.

L’eventuale distacco che può derivare da una simile tipologia di innovazione viene puntualmente colmato dalla concorrenza in men che non si dica. Il risultato? A voi la risposta… Non solo! I clienti non percepiscono né l’entità né il valore di tali interventi e quindi non sempre li considerano né determinanti nel processo decisionale né incentivanti per la soluzione delle profonde e personali esigenze.

Si accentua così la necessità che la gestione gli assets abbia un perimetro ampio e un respiro “patrimoniale”.

wealth management

 

Mi permetto inoltre di manifestare qualche perplessità nei confronti di quegli intermediari che, su target di cliente medio/alto, continuano a investire in formazione esclusivamente legata al mondo della sola pianificazione finanziaria. Forse sarebbe stato sufficiente venti anni fa, per essere buoni.

Così va da sé che la discriminante non potrà certo risiedere soltanto nell’offerta di maggiori servizi ma in un valore aggiunto ad essa perfettamente integrato, ovvero una strategia di pianificazione patrimoniale (pianificazione-tempo/patrimoniale-spazio) basata su valutazione “globale” del cliente.

Vale a dire una consulenza a tutto tondo e che si rivolga ai bisogni, tenendo conto che il confine tra economia reale e finanza e le esigenze professionali e familiari di ieri e di domani è un “tutto” che non è possibile dirimere.

Intermediari finanziari: relazione con le priorità

Esiste, dunque, una discrasia fra ciò che gli intermediari identificano come priorità del mercato e ciò che il mercato effettivamente richiede? Per rispondere a questa domanda basta fare riferimento ai cambiamenti tangibili.

Anche sotto la considerevole spinta dei regolatori “europei”, tutti gli Istituti hanno avuto la necessità di investire moltissimo in campo tecnologico, per dotarsi di nuovi supporti informatici che li aiutassero ad adempiere alla convergenza e agli standard di trasparenza richiesti.

Parallelamente si è fatto più incalzante l’impegno di nuovi investimenti in ambito “offerta”, a volte per l’intuizione di nuovi “spazi” da aggredire, altre per fenomeni sociali sicuramente condivisibili (ad esempio la finanza sostenibile).

Tuttavia, ancora una volta, ciò che è venuto meno o che senz’altro è stato messo in secondo piano è tutto l’universo relazionale, cioè il collegamento e le modalità d’interazione fra i consulenti e i propri clienti.

Appare evidente che puntare sulla qualità dei rapporti, che costituisce una leva di mercato da utilizzare in fase di “vendita” dei servizi, implica la ricerca del modo migliore per incontrare il sistema di bisogni di ogni cliente e, al contempo, richiede di massimizzare l’efficacia della consulenza, dei prodotti attualmente offerti e quindi, in prospettiva, anche la pertinenza dei futuri investimenti per l’innovazione.

Perché parlare di “nuova frontiera” della relazione?

Un nuovo approccio relazionale diventa indispensabile proprio alla luce di queste analisi: sia per sopperire alle lacune evidenziate in ambito comunicativo che per riuscire a trasmettere l’effettiva necessità e reale utilità dei servizi e degli strumenti offerti, tanto quelli vecchi tanto più quelli di nuova generazione.

Parlando in termini squisitamente pratici, quindi, ciò che serve è la messa a punto di un “diagnostico” che sia nuovo, come nuove sono le esigenze del mercato e le informazioni da trasferire, e necessariamente più pertinente ed efficace.

Al centro di tutto, dunque, occorrerà ricollocare il cliente e i processi relazionali, rivalutando l’importanza del processo dialettico (domande-obiezioni-risposte), cogliendo le opportunità offerte da ciascuna fase e introducendo quegli elementi di rottura che diventano fondamentali nelle letture comportamentali.

Occorre, insomma, dare una nuova dimensione al rapporto cliente-consulente e riconsiderarne le direttrici. Come fare? Attraverso l’approfondimento delle dinamiche relazionali e lo studio di percorsi innovativi che conducano al cuore dei bisogni del cliente.

Wealth Management: riscoprire la figura del cliente con i passi da seguire

Per riscoprire la figura del cliente sarà inevitabile reinventare il ruolo del consulente. Se, infatti, uno degli assi portanti sarà la costante del rapporto-ricalco, un altro sarà sicuramente costituito dalle sfide collegate ai bias cognitivi e al debiasing quale logico “disinnesco”.

Il percorso, fortemente incentrato sullo studio dei processi cognitivi, dovrà essere funzionale ad una più profonda comprensione dei meccanismi neuro-biologici che muovono le decisioni finali.

Sotto la luce delle neuroscienze, inoltre, si dovrà rintracciare un nuovo filo conduttore che accomuni gli studi di Paul MacLean, Edward De Bono e dei padri della PNL, così da elaborare una risposta attuale alle esigenze contingenti e aprire prospettive applicative inedite.

Per rendere ancora più stimolante il tutto saranno le interazioni con i clienti, dal momento che i loro feedback –obiezioni agli argomenti proposti, domande sorte da nuove esigenze, testimonianze di esperienze personali o quant’altro– diventeranno la fucina di questa “Nuova frontiera della relazione” e del suo nuovo diagnostico.

 

Nicola Onorati
Fondatore di “Onorati Solutions”
Partner di “Fabbrica delle Professioni”
Redazione a cura di Giovanni Del Giudice

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