E’ fondamentale saper unire lo sviluppo creativo e un ambiente di lavoro sostenibile dal punto di vista emotivo e relazionale
di Chiara Paolino *
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È ormai da un almeno un decennio che le riviste più importanti nel settore della formazione incoraggiano i manager e la funzione HR allo sviluppo di competenze nell’ambito della creatività e dell’innovazione. A questo proposito, diversi studi hanno suggerito l’importanza di adottare parallelamente metodologie di insegnamento e apprendimento che possano favorire non solo la partecipazione del discente, ma anche una intenzione nell’organizzare il suo coinvolgimento valoriale ed emotivo all’esperienza formativa.
In questa prospettiva si è illustrata l’importanza, nella business education, di utilizzare approcci pedagogici provenienti da diverse discipline (non solo quella manageriale, ma anche quelle umanistiche) e di riconsiderare modalità, come quelle che implicano il coinvolgimento dell’arte e dei suoi codici, per creare esperienze di formazione in grado di costruire un senso di accoglienza del lavoratore, come persona, e di permettere l’espressione della sua unicità e pensiero non convenzionale.
La conclusione dell’articolo va nella direzione opposta a quella prima citata e professa la necessità, per migliorare questi indicatori e non sprecare il budget della formazione, di tornare a concentrarsi su unità di training più piccole (intendendo su attività di formazione legate a competenze più elementari in termini di quantità e complessità di contenuto) e più direttamente legate allo svolgimento del proprio lavoro, e quindi immediatamente più applicabili.
D’altro canto, un’indagine condotta da GP Strategies nel 2019 su circa 300 lavoratori ha rilevato che fra le tre skill che le persone ritengono di dover sviluppare in futuro ci sono la capacità di negoziare (46%), di gestire conversazioni difficili sul posto di lavoro (24%) e di design thinking (24%), skill che vanno tutte oltre la mera esecuzione del proprio lavoro, e che si focalizzano sulla capacità di gestire le relazioni e di praticare empatia e innovazione.
A questo si aggiunga che, nonostante la digitalizzazione dei servizi formativi, la modalità di apprendimento ancora preferita è l’esperienza dell’aula, del gruppo di apprendimento guidato dal docente. Come dobbiamo, dunque, guardare a queste due tendenze? Apertura, focalizzazione sulla persona, sul suo mindset, anche emotivo e sensoriale, per la coltivazione di skill elevate come la creatività e l’innovazione da un lato, e ritorno a una formazione più strettamente legata al job, fatta di miglioramenti incrementali e piccole sperimentazioni dall’altro?
Fortunatamente può non trattarsi di un conflitto nell’organizzazione della formazione, e non perché nei due casi, come si potrebbe pensare, stiamo pensando a modalità formative dedicate a popolazioni organizzative diverse (quella più aperta e coinvolgente per i manager e quella più tecnica per la popolazione operativa). È ormai assodato che la formazione tecnica e on the job sia parte essenziale del percorso di crescita di tutti e che costituisca un presupposto fondamentale per il benessere e le opportunità di crescita della persona, qualsiasi sia il livello che ricopre. Si pensi a quanto del gender gap può essere spiegato alla luce della mancata formazione tecnica della popolazione femminile sulle competenze legate alla comprensione del business, piuttosto che alla mancanza di assertività.
Il conflitto tra queste due modalità formative all’interno della stessa organizzazione non dovrebbe esistere se si tenesse a mente che è la pratica della tecnica che consente poi una così piena comprensione del ruolo e del task, da renderci in grado di proporre nuove soluzioni, di essere creativi e presenti appieno sul posto di lavoro con tutta la nostra persona. Allo stesso modo la formazione esperienziale tesa alla promozione di una visione piuttosto che di un’abilità specifica nelle persone, improntata all’accoglienza del lavoratore come persona che vive l’esperienza di lavoro anche con le sue emozioni, è un mezzo fondamentale per promuovere idee innovative, nuove modalità di lavoro operativo e per poi trovare le energie per applicarle operativamente sui propri compiti lavorativi.
La convergenza tra i due approcci e quindi l’efficace sviluppo della capacità di pensare a modi nuovi di svolgere il proprio lavoro può risiedere nel renderli entrambi sistematici, parte integrante della strategia di formazione. Passare dall’evento formativo (sia esso tecnico o più valoriale e di apertura) a una integrazione di questi programmi nella strategia HR e a una loro comunicazione articolata. A questo proposito, se un ritorno alla formazione più tecnica, all’apprendimento on the job sembra illustrare in modo intuitivo i suoi benefici, è questo anche il momento di riflettere su tutti i casi che ci informano di come metodi formativi più direttamente legati alla creatività, come quelli basati sul coinvolgimento dell’arte e degli artisti nella formazione, possano nel tempo portare a migliorare la capacità di riflessione dei lavoratori sul proprio task, a proporre idee per innovarlo e, al contempo, a costruire un senso più articolato e complesso della propria esperienza di lavoro, in relazione ai propri colleghi, al contenuto della propria mansione e all’organizzazione.
Tecnica e apertura possono convivere nella strategia di formazione. Lo sviluppo della creatività e la creazione di un ambiente di lavoro sostenibile dal punto di vista emotivo e relazionale possono essere il loro comun denominatore.