La non fiducia deriva quasi sempre dalla non conoscenza. Dei mercati, ad esempio, e questa carenza spiega le masse che si riversano sui conti bancari ad interessi prossimi allo zero.
L’altra scarsa conoscenza riguarda gli intermediari finanziari, Consulenti Finanziari ed Assicuratori in prima battuta, che sono vissuti più come venditori di prodotti che come consulenti. Dalla scarsa conoscenza alla sfiducia il passo è breve.
Quali possibili rimedi per incidere efficacemente su questa “credenza”?
Le Banche, le Compagnie di Assicurazione, le Reti di Consulenti Finanziari debbono disporre, per i propri Operatori, progetti di formazione “divulgativa” sul valore dei loro ruoli. Divulgativa perché deve esprimere con semplicità concetti complessi.
Nelle nostre esperienze abbiamo potuto verificare come gli operatori che hanno maturato una buona capacità di comunicazione divulgativa siano riusciti a creare con la propria clientela un rapporto fiduciario molto più intenso.
We Wealth, 28 Luglio 2020
“Il 63% degli italiani non si fida degli intermediari finanziari e l’80% sceglie il “fai da te”, ma la scarsa conoscenza degli strumenti disponibili frena la ripresa economica post-covid. Cosa possono fare le istituzioni e i player del settore?
Accumulano risparmi, sovrastimano la propria cultura finanziaria e perdono opportunità e ricchezza potenziale. Gli italiani, con i loro timori e le loro incertezze, frenano la ripresa economica del Paese, privando l’economia reale dell’ossigeno necessario a sopravvivere.
Secondo uno studio di Aviva Assicurazioni e The european house – Ambrosetti, che hanno presentato un’anteprima della nuova edizione del Global attractiveness index 2020, sono 18,5 milioni le famiglie italiane che non utilizzano strumenti finanziari.
Miliardi di euro di risparmio privato continuano infatti ad accumularsi e lo shock pandemico non ha fatto altro che contribuire a questo trend.
Se gli investimenti finanziari privati potrebbero giocare un ruolo di primo piano nel sostenere la liquidità destinata all’economia privata durante i periodi di incertezza economica, in Italia la scarsa conoscenza degli strumenti a disposizione dei cittadini rendono la ripresa ancora più lenta.
La situazione italiana
Secondo lo studio, l’Italia è ultima tra i paesi del G20 in termini di educazione finanziaria, con un punteggio medio di 3,5 su 9. Un aspetto che genererebbe un incremento eccessivo di liquidità, con una conseguente battuta d’arresto per i mercati finanziari e la perdita del 30% di ricchezza potenziale in termini reali solo negli ultimi 15 anni per chi ha preferito non investire.
Quella che manca, spiegano i ricercatori, è una reale fiducia nei confronti degli intermediari finanziari, inesistente per il 63% degli italiani. Proprio per questa ragione, 8 su 10 decidono di optare per il “fai da te” e il 28% sovrastima la propria cultura finanziaria.
Tra pareri di amici, colleghi e parenti, gli investitori del Belpaese perderebbero in questo modo le opportunità offerte dal mercato.
Basti pensare al fatto che l’87% della popolazione dichiara che non investirebbe in prodotti socialmente responsabili sebbene i dati rivelino come godano di profili di rischio-rendimento migliori rispetto ai prodotti tradizionali.
Se si considera il comparto assicurativo, in particolare, gli ultimi dati raccolti da Ania evidenziano che unicamente il 46% delle abitazioni ha un’assicurazione contro l’incendio e quasi una su cinque è stata sottoscritta perché legata automaticamente al mutuo.
Inoltre, quelle protette da calamità naturali sono poco più del 3%, contro il 75% degli immobili residenziali esposti a tale tipologia di rischi. “Una maggiore alfabetizzazione finanziaria e la crescita dell’utilizzo degli strumenti a disposizione dei cittadini sono elementi fondamentali per accrescere l’attrattività di un sistema paese”, spiega Ignacio Izquierdo Saugar, ceo di Aviva in Italia.
Ma per migliorare questi aspetti, aggiunge, è necessario uno sforzo congiunto da parte delle istituzioni e di tutti i player che operano nei settori finanziario e assicurativo.
L’industria, conclude, “ha precise responsabilità per supportare il rilancio del Paese e deve agire concretamente per sbloccare la ricchezza che potrebbe finanziare direttamente la ripartenza economica”.